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Il mistero di Enea si nasconde nel cemento di Torvaianica

Il celebre approdo è misconosciuto e gli scavi della città di Lavinium, dopo oltre mezzo secolo, sono ancora in corso

Il mistero di Enea si nasconde nel cemento di Torvaianica

Il luogo dell'approdo potrebbe essere questo lembo di spiaggia diviso da un torrente, un piccolo corso d'acqua che entra nel mare. È il Numico, l'antico Numicus per i latini. Un'agave in fiore, ormai prossima alla fine, svetta sul ponte che separa la spiaggia dalla strada. Proprio qui è stato piantato un cartello azzurro, il profilo di un antico romano con un elmo in primo piano. Passando veloci si può scambiare per l'insegna anni Sessanta di uno stabilimento balneare: «Benvenuti a Torvaianica», dice il cartello, «Fiume Numicus oggi fosso di pratica di Mare. Qui approdò Enea».

Di fronte a due palazzoni che qui chiamano grattacieli, dove la costa appena a sud di Roma torna a infittirsi di costruzioni, bar ristoranti in un affastellamento rigoglioso e privo di qualsiasi gusto estetico, appena dopo le dune di Pasolini e la tenuta presidenziale di Castelporziano, la mitologia irrompe negli occhi con una straordinaria coincidenza di topografia, luce, proporzioni. Il torrente, la piccola collina alle spalle. Di fronte, il mare che riflette il primo sole del giorno. Pochi chilometri più a nord la foce del Tevere. Quando i troiani arrivarono, più di tremila anni fa, sorgeva l'alba, e tra i due fiumi, il grande e il piccolo, era tutta selva, un «bosco divino». Chiunque fosse l'uomo che li guidava, e da qualsiasi luogo arrivasse - realtà o fantasia - questo è il luogo dove esistono simboli di un passaggio, di una fondazione, di un santuario con tredici altari, e soprattutto della tomba di un grande re. Un re che potrebbe essere Enea.

Roma è a meno di trenta chilometri di distanza, con il Colosseo, i Fori e tutte le infinite tracce di storia che conosciamo. Solo il Colosseo nel 2018 è stato visitato da oltre 7 milioni di persone, una media di 20mila turisti al giorno. Nel punto dell'approdo di Enea non c'è nessuno, a parte un anziano che di fronte alle foto si lamenta: «Non ce lo portate via». Enea qui è per pochi, per quella manciata di persone che conoscono i segreti di questo luogo che Virgilio trasformò nel suo set, accanto a quella che ora è una scuola di vela e kitesurf: il punto di arrivo del viaggio del suo eroe, figlio di Anchise e della dea Afrodite. Per capirne di più bisogna dirigersi verso l'interno, risalire idealmente proprio il corso del Numico lasciandosi a ovest l'aeroporto militare di Pratica di Mare e contare l'antica misura di 24 stadi, ossia quattro chilometri e duecentosessanta metri.

Questa volta la guida non è Virgilio, ma Dionigi di Alicarnasso, uno storico contemporaneo del Poeta, ma molto meno famoso. Mentre scriveva le sue «Antichità Romane», Dionigi venne qui in sopralluogo, e arricchì di dettagli il racconto di Virgilio: dopo aver assistito a una serie di prodigi al momento dello sbarco, segno che questo era il luogo indicato dal fato, Enea inseguì una scrofa nera per venticinque stadi. E dove la scrofa si fermò fondò la città a cui diede il nome di Lavinium. Questo percorso che lambisce autofficine, campi sportivi e un centro commerciale, era insomma una via sacra.

Gli scavi dell'antica città, iniziati negli anni Cinquanta, sono ancora in corso. Dalla terra sono emerse meravigliose statue. La più straordinaria è una Minerva Tritonia in terracotta ad altezza naturale custodita nel museo di Lavinium. Da questo piccolo gioiello di cultura accanto al borgo di Pratica di Mare si organizza il viaggio alla ricerca della tomba dell'eroe, visitabile da appena due anni e che si trova in un terreno chiuso da un cancello di proprietà dei principi Borghese, al di sotto di quella che doveva essere la sede dell'antica Lavinium, su una lieve altura che guarda il mare. Sorge sotto una distesa di fiori di campo, protetto da una tettoia. È un tumulo con un diametro di circa 18 metri, di cui oggi si vede la struttura esterna con massi di pietra a due livelli. E' circondato da una fila di alberi da poco piantati, e questa protezione naturale ricorda proprio l'immagine di Dionigi di Alicarnasso, che parlava di una cerchia di alberi che sembrava suggellare la sacralità del luogo. La prima costruzione risale al VII secolo avanti Cristo: la guerra di Troia avvenne cinque secoli prima, così come la fondazione di Lavinium, ma nulla esclude che il culto del sovrano fondatore di una grande civiltà sul litorale, e da cui forse originò la stirpe di Romolo e Remo, sia iniziato in tempi successivi, vicini alla nascita di Roma. Dionigi scrisse che davanti alla tomba era posta l'iscrizione dedicata al «Dio padre indigete che guida la corrente del fiume Numico». Enea veniva chiamato dai romani Padre Indigete, e secondo la leggenda sarebbe morto in battaglia proprio lungo il Numico.

Accanto al torrente, gli studi dell'Università di Roma hanno portato all'identificazione dei resti di un tempio dedicato al Sol Indiges. Il culto di Enea sarebbe stato poi associato anche al sole. Il corpo sarebbe asceso nella schiera degli dei o sarebbe stato trasportato dalla corrente. Ma Dionigi associa questo iscrizione ad Enea, e molti segni dicono che questo è il sepolcro di una persona venerata e onorata. La tomba vera e propria era un cassone rettangolare di due meri e mezzo per un metro e sessanta centimetri, coperta da lastre di pietra. All'interno era stato posto un corredo di prima grandezza: armi, vasi per il banchetto funebre e addirittura un carro, indice che la persona sepolta in questo luogo era un capo militare e spirituale. Chi era dunque questo eroe, re, fondatore dei luoghi, associato certamente in età imperiale al Dio Indigete?

Il culto sembra estendersi all'area circostante, come se la memoria del Padre portasse protezione a tutto il luogo. Poco distante ci si imbatte in una fila di altari. Sono tredici are in tufo, un tempo dipinte di rosso, tutte rivolte a est. Il terreno intorno ha restituito statuine di bronzo, brocche e anfore, secondo i rituali della Magna Grecia, con cui il porto di Lavinium doveva avere scambi fertili, porto che da qui bisogna immaginare oltre l'urbanizzazione di Torvaianica.

Secondo le ricostruzioni degli archeologi, la tomba fu ispezionata nel VI secolo, e in quell'occasione fu organizzato un nuovo rituale. Era la consacrazione. Due secoli dopo, nel IV secolo avanti Cristo, il sepolcro fu ristrutturato e ampliato. Fu creata una cella, protetta da due grandi porte di tufo. Una è esposta in una sala del museo. La tomba divenne quindi Heroon, sede di culto.

Se non era Enea, era certamente un grande eroe l'uomo che morì lungo il Numico, e che ancora parla tra i grattacieli di Torvaianica.

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