Politica

Jeremy sogna Downing Street Ma rischia la rivolta del partito

Il capo dell'opposizione offre l'immagine di statista che tenta di tirar fuori dal pantano il Paese. I suoi chiedono un voto bis

Gaia Cesare

Mai così vicino a Downing Street, avverte Alastair Campbell, lo spin doctor di Tony Blair, che come l'ex premier lo ha sempre considerato una piaga per il suo Partito laburista. E in effetti Jeremy Corbyn si è trasformato all'improvviso nell'Uomo della Provvidenza grazie alla legittimazione arrivata dalla premier Theresa May che, nel tentativo disperato di portare a casa la Brexit, ha chiesto la collaborazione del leader del Labour per uscire dal pantano. Chiamato a dare un aiuto in grado di contribuire a una svolta decisiva alla questione che sta segnando il presente e inciderà pesantemente sul futuro del Regno Unito, nessun capo dell'opposizione ha mai avuto tanto potere quanto quello che si trova adesso fra le mani il «compagno Corbyn», così soprannominato dai suoi detrattori per il socialismo di ispirazione marxista a cui si ispira.

«Jez, we can» è il grido di obamiana memoria che accompagna i raduni della base laburista in tripudio per il leader che dal settembre 2015, data della sua elezione con la maggioranza più ampia mai avuta da un capo di partito (59,5%), ha sepolto la Terza Via e il centrismo di Tony Blair, ma ha anche scatenato le ire e le ribellioni dell'ala moderata del partito. Ora, alla vigilia dei suoi 70 anni, Corbyn potrebbe farcela davvero, trovandosi per le mani un'occasione d'oro che promette di spalancargli le porte di Downing Street. La merce di scambio offerta implicitamente da Theresa May potrebbe essere proprio questa: chiudiamo il delirante dossier Brexit, poi io me ne andrò, come promesso, e potrebbero arrivare le tanto agognate anticipate.

Eppure non è detto che sia tutto oro quello che luccica. La mossa disperata di Lady May rischia di trasformarsi in un'arma a doppio taglio per Corbyn, una sfida dagli esiti ancora incerti, che potrebbe sì rivelarsi il preludio di una vittoria servita su un piatto d'argento ma anche un abbraccio mortale. Perché se la collaborazione fallisse, Corbyn sarà considerato corresponsabile del flop. Se andasse in porto - e si vedrà con quali modalità - rischia di inimicargli una parte del suo stesso partito, lacerato sulla Brexit tanto quanto i Tory. Non è un caso che dai tempi del referendum Corbyn tentenni e si destreggi fra le due anime del Labour, quella pro-Brexit della working class spaventata dall'immigrazione europea e contraria a una sovranità limitata, e quella più liberal e aperta, simboleggiata dallo spirito aperto ed europeista della capitale Londra. Finora su molte questioni, Corbyn ha preferito decidere di non decidere. Chiedendo elezioni anticipate, il leader laburista ha messo quasi sempre in seconda posizione la questione di un nuovo referendum, che moltissimi laburisti in queste ore invocano ancora a gran voce, per evitare quella Brexit che invece Corbyn potrebbe aiutare a realizzare. In molti chiedono un secondo referendum confermativo come precondizione di qualsiasi eventuale accordo. Se invece si arrivasse al compromesso di una lunga estensione dell'articolo 50, cioè di un rinvio del divorzio dall'Unione europea, i laburisti anti-Ue, che in molti seggi in bilico possono fare la differenza, rischiano di voltare le spalle al Labour, relegandolo ancora per qualche anno all'opposizione.

Tutto questo proprio ora che il Partito laburista ha fatto un balzo in avanti nei sondaggi anche a causa del disastro della gestione May della Brexit.

I riflettori puntati su Corbyn saranno dunque insieme una grande opportunità ma anche un rischio per il capo del Labour che con le trattative di questi giorni punta a costruirsi l'immagine di statista capace di tirare fuori il Paese dalle sabbie mobili, andando oltre gli interessi di bottega del suo partito.

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