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Libia, seimila in fuga. Salvini: porti aperti soltanto a chi ha diritto

Il ministro blinda mari e cieli d'Italia: nuova direttiva contro l'invasione di profughi

Libia, seimila in fuga. Salvini: porti aperti soltanto a chi ha diritto

Le nebbie di Palazzo Chigi sulla crisi libica sono tali, che la ministro Elisabetta Trenta non ha esitato, l'altro giorno, a riesumare l'accordo sottoscritto dal governo Berlusconi con il colonnello Gheddafi per la costruzione della grande autostrada est-ovest, dall'Egitto alla Tunisia, «se può servire a fermare la guerra». Segno inequivocabile di un'approssimazione che investe in pieno la compagine dei 5Stelle al governo.

È il motivo per il quale il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, se viene spinto a colmare il vuoto politico e anche indotto a nutrire i maggiori timori. Fino al punto di immaginare una «via di fuga» dal governo dopo le Europee. Con una Italia ridotta a ruolo di facilitatore, come ha detto il premier Conte, senza alcuna voce in capitolo e con le idee così poco chiare, è evidente che l'ondata migratoria dalla Libia prima o poi ci sarà. I report consegnati a Palazzo Chigi dalla nostra Intelligence descrivono una situazione di massimo allarme, anche se malavita e scafisti per ora ritengono per ora troppo «complicato» o rischioso organizzare i primi barconi. L'Ufficio per gli affari umanitari (Ocha) ieri ha fatto sapere che nelle ultime 24 ore gli sfollati sono quasi 16mila e si stima che 6mila sarebbero pronti a imbarcarsi. Troppe, da gestire, anche se fossero meno della metà. Salvini ha annunciato per oggi una nuova direttiva del Viminale che sottolineerà come cieli e acque italiane siano aperti solo a chi ne abbia diritto. «Non cambia nulla sulle politiche migratorie... - ha detto -. I pochi che scappano dalla guerra ci arrivano in aereo, così come già stanno facendo, ma i barchini, i barconi, i gommoni o i pedalò nei porti italiani non ci arrivano. I porti sono e rimarranno chiusi». E sulla Libia ha insistito: «Noi lavoriamo per la pace, ma altri per la guerra».

Crisi libica e inadeguatezza del governo non comportano solo un pericolo per la probabile ondata migratoria, bensì anche per la sicurezza, considerate le notizie di infiltrazioni di al Qaeda alla frontiera tunisina, e sull'economia, con un eventuale blocco dei centri estrattivi Eni. Se a questo si volesse unire la certezza di un autunno «caldo» dal punto di vista della manovra, ne viene fuori un quadro disastroso che il capo del Carroccio in queste ore valuta (e ancora di più si troverà a fare dopo i risultati delle Europee). Sulla Libia il governo rischia, ripetono da giorni molti osservatori. Come se non bastasse, in ambienti della Capitale è tornata a farsi sentire la suggestione di un partito centrista animato da Renzi alla luce di un deludente risultato elettorale del Pd di Zingaretti, che non a caso ieri Salvini ha cominciato ad attaccare fino alla derisione in quanto, ha detto, «se l'opposizione è Zingaretti restiamo al potere 40 anni». Di tali voci si è fatto interprete, forse inconsapevole, il vecchio Scalfari, che ha evocato su Repubblica un'inedita alleanza tra «i due Matteo». Segno che le geometrie politiche cambiano con gran rapidità, e nulla viene escluso. Di certo sembra che stia già suonando la campanella dell'ultimo giro per il Salvimaio; si salvi (anzi Salvini) chi può.

A patto che faccia in fretta a capirlo e si ritiri prima di bruciarsi.

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