Cultura e Spettacoli

Carbonaro, colto, evangelico. Ecco il Bonaparte più italiano

Napoleone Luigi si formò tra Roma e Firenze. E al mito dello zio imperatore preferì la sua seconda patria

Carbonaro, colto, evangelico. Ecco il Bonaparte più italiano

C'è un dipinto di Jean-Baptiste Wicar, artista neoclassico allievo di David, in cui sono ritratti Luigi Bonaparte e il figlio giovinetto Napoleone Luigi. È un ritratto molto bello e intenso, pieno di motivi simbolici che, però, non richiama l'atmosfera sontuosa della corte e suggerisce, semmai, sentimenti malinconici. Lo sfondo è quello dell'agro romano con la cupola della Basilica di San Pietro sulla sinistra e un rudere marmoreo con una iscrizione latina sulla destra. Al centro ci sono loro, padre e figlio. Luigi, già Re d'Olanda e ora conte di Saint-Leu, indossa la divisa bianca e vermiglia dei dragoni d'Olanda con le decorazioni, mentre Napoleone Luigi, giovanissimo, è in uniforme di ussaro. Non c'è nulla di regale e di maestoso semmai la dimostrazione dell'affetto, quasi morboso, di Luigi per il figlio.

Luigi era stato il fratello prediletto di Napoleone Bonaparte che lo aveva messo sul trono d'Olanda e gli aveva imposto il matrimonio con Ortensia di Beauharnais. Un matrimonio poco felice: i due, secondo quanto scrisse Luigi in una lettera nel 1816, in quattordici anni di unione trascorsero insieme, senza mai andar d'accordo, soltanto tre mesi e mezzo complessivi. Dal matrimonio nacquero tre figli: Carlo, morto ad appena cinque anni, Napoleone Luigi e Carlo Luigi Napoleone, destinato, quest'ultimo, a diventare imperatore dei francesi come Napoleone III. Essendo insorte profonde divergenze con il fratello imperatore, l'1 luglio 1810 Luigi abdicò, lasciando la corona a Napoleone Luigi che però rimase sul trono pochi giorni, perché Bonaparte decise di annettere i Paesi Bassi alla Francia. Tuttavia l'imperatore colmò il ragazzo di attenzioni, considerandolo, almeno fino a quando non nacque il Re di Roma, il suo erede. Dopo la caduta dell'impero, Luigi - che non era riuscito a ottenere l'annullamento del matrimonio cui si opponeva Ortensia - ebbe la custodia di Napoleone Luigi e con lui si trasferì esule a Roma, dove risiedevano già molti esponenti della famiglia Bonaparte, da Letizia a Luciano, da Girolamo a Paolina. Qui egli si dedicò alla scrittura e all'educazione del figlio prediletto. Per l'altro figlio - Carlo Luigi, poi Napoleone III - egli non manifestò mai né simpatia né affetto, avallando anzi l'idea che fosse il frutto di una relazione adulterina. Il ritratto che egli volle far dipingere al Wicar è, in un certo senso, la dimostrazione plastica di questa disparità di trattamento.

Alla figura di Napoleone Luigi, dimenticata o messa in ombra da quella più storicamente ingombrante del fratello, Massimo Novelli ha dedicato un gustoso profilo biografico dal titolo Vita breve e rivoluzioni perdute di Napoleone-Luigi Bonaparte (Aragno, pagg. 306, euro 15) che ricostruisce la personalità e le vicende umane di questo rampollo dei Bonaparte che ebbe una parte, sia pure minima e marginale, nel Risorgimento. A differenza del fratello, Napoleone Luigi non visse in maniera assorbente nel mito dello zio imperatore. Semmai, con lui condivise quei sentimenti più genericamente «liberali» che li avrebbero condotti, entrambi, a frequentare il mondo settario delle società segrete e a prender parte a congiure. Napoleone Luigi - che ritratti e testimonianze presentano «bello come un Apollo», robusto ma snello, elegante, d'intelligenza pronta e pieno di spirito - era stato sottoposto a Roma a un'educazione severa, austera, rigidamente regolata che ne aveva modificato l'indole. Non era più il ragazzo altezzoso e arrogante dopo il periodo passato con la madre Ortensia e non era neppure impetuoso, brillante, socievole e ambizioso come il fratello minore. Era sempre più chiuso e riservato e si era appassionato agli studi, alla letteratura e soprattutto alla scienza. La politica, in particolare il culto del mito napoleonico, non gli interessava più di tanto e, semmai, nutriva sentimenti, vaghi e istintivi, di ostilità e ribellione alla Restaurazione assunta a simbolo delle sfortune del suo casato. Non c'era, insomma, in lui traccia di «liberalismo» consapevole e ragionato.

Dopo il matrimonio con la cugina Carlotta, figlia dell'ex re di Spagna Giuseppe Bonaparte, e trasferitosi a Firenze, Napoleone Luigi, lontano dall'atmosfera opprimente della Corte papale, si dedicò alle lettere classiche e agli studi di storia, all'avviamento di imprese industriali e alla sua grande passione per i globi aerostatici su cui scrisse pregevoli lavori. Ma, soprattutto, frequentò gli ambienti intellettuali fiorentini, a cominciare da quelli raccolti attorno a Giovan Pietro Vieusseux, e molto probabilmente conobbe Henri Beyle che già da tempo firmava i suoi romanzi con il nome di Stendhal, Alphonse de Lamartine, allora primo segretario dell'Ambasciata di Francia, e gli scrittori che abitavano o transitavano a Firenze: da Gino Capponi a Pietro Giordani, da Pietro Colletta ad Alessandro Manzoni, da Niccolò Tommaseo a James Fenimore Cooper. Da questo milieu culturale e da ex ufficiali napoleonici e politici che conobbe e frequentò, oltre che dai ripresi contatti epistolari con il fratello, Napoleone Luigi cominciò a pensare alla causa italiana e a favorirla anche attraverso congiure.

L'occasione giunse sul finire del 1830, quando Napoleone Luigi e il fratello incontrarono a Firenze Ciro Menotti, un agiato modenese esponente di primo piano della Carboneria, romantico e impavido, quasi un personaggio stendhaliano. Questi - già qualche tempo prima della rivoluzione parigina di luglio che aveva consegnato la Francia alla «monarchia borghese» di Luigi Filippo - aveva progettato quella cospirazione poi sventata dall'ambiguo e ambizioso duca Francesco IV d'Este che lo avrebbe immediatamente portato al patibolo. La macchina rivoluzionaria, tuttavia, si mise in movimento. I moti divamparono, in quell'anno fatale per la storia europea, da Modena alla Romagna, dall'Emilia alle altre Legazioni dello Stato Pontificio. Napoleone Luigi, insieme al fratello, accorse spinto da romantico entusiasmo, prese parte a scontri militari e, alla fine, si spense in una locanda a Forlì, stroncato non dalle armi ma da una comunissima rosolia. Aveva appena ventisette anni. Per qualche tempo furono agitati cupi sospetti e si parlò di avvelenamento, ma la verità era più banale. Poco prima della morte, Napoleone Luigi aveva scritto al Papa, Gregorio XVI, chiedendogli di rinunciare al potere temporale in nome del «libro più liberale che esista, il divino Vangelo».

La proposta era, naturalmente, irricevibile e rivelava tutto l'utopismo di questo rampollo di casa Bonaparte innamoratosi della causa italiana: un rampollo che, per usare le parole di Massimo Novelli, «volò sulle ali dell'aquila imperiale, verso la gloria, per poi precipitare troppo presto» come una «stella cadente».

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