Sport

City come Psg: sconfitta dei Paperoni

Le squadre degli sceicchi fanno ancora flop. E a Guardiola resta... Pochettino

City come  Psg: sconfitta dei Paperoni

Il fatturato. Il calcio totale. Tutta roba buona per la propaganda, scritta e parlata, puntuale, scontata, anche patetica. Il Tottenham smentisce, in ventiquattro ore, i docenti e depositari del football spettacolo, la squadra di Pochettino piazza un sano contropiede per far fuori il colossale gruppo di Guardiola. Nulla di speciale, niente gioco stellare ma roba pratica, anche fortunata. Finisce così l'avventura del Manchester City, così come erano finite quelle del Paris Saint Germain, del Real Madrid, del Manchester United, del Bayern di Monaco, della Juventus di Torino, tutta roba forte per bilanci e affini, il famoso fatturato, un repertorio che riempie la bocca di molti tra presidenti di calcio e giornalisti. Contano i fatti, conta il talento che, in alcuni casi, non necessariamente viaggia con i denari, contano lo spirito e la candida spavalderia, conta la buona sorte, conta il colpo di genio di un artista o l'aiuto dell'arbitro.

Il calcio non è una scienza esatta come anche il Var sta dimostrando, tra un errore e una sciocchezza. Il calcio è un gioco imprevedibile che ha la sua discpilina, le sue regole, la sua storia ma non può essere mai un testo scritto, come risulta da mille note e schizzi sui tablet o i registri che gli allenatori piazzano sotto il muso dei calciatori al momento delle sostituzioni. Il calcio è quello di Juventus-Ajax ma anche di Juventus-Atletico Madrid e ancora di Manchester City-Tottenham, così come era stato all'andata del derby inglese, quando Aguero sbagliò un rigore e poi Son risolse la partita. Se contassero soltanto la gamba e lo spirito di squadra, la Scozia avrebbe conquistato una o due coppe del mondo. Se bastassero i fatturati, allora Manchester City e Paris Saint Germain non avrebbero rivali, non vincerebbero soltanto i relativi campionati nazionali ma dominerebbero in Europa arrivando a giocarsi la Champions da soli. La stessa Champions non è figlia delle teorie di un allenatore solo, perchè il grande Milan di Berlusconi l'ha vinta con tre tecnici diversi, Sacchi, Capello e Ancelotti, figure anche opposte per filosofia e studio del football.

Contano i calciatori, contano le circostanze, contano gli avversari, senza ovviamente sminuire il lavoro professionale dei gestori. C'è sempre il momento della novità, dell'allenatore di moda, dell'uomo che cambia il calcio, della scuola o accademia che sforna campioni a costo zero. La Danimarca conquistò un titolo europeo mentre i suoi nazionali erano in vacanza, poi precettati al posto della Jugoslavia squalificata. Fu forse una preparazione tattica e atletica precisa, quella, o non, piuttosto, una coincidenza felice?

Questo turno dei quarti di finale di Champions league dovrebbe servire a tutti per ritornare con i piedi per terra, comprendendo che, a volte, il migliore può farcela per vari motivi, non tutti tattici, che il vincitore non sfrutta soltanto gli errori altrui ma anche i propri pregi, che l'arbitro è, spesso, artefice del risultato e infine, che, come sta scritto su un cartello all'entrata di un campo di allenamento per bambini e bambine, nel Canton Ticino: Perdere non è una tragedia, state sereni e godetevi la partita.

Commenti