Controcultura

Lee Miller e Man Ray (auto)ritratto di un amore nel nome dell'arte

Lei bellissima, lui un maestro: si incontrano a Parigi negli anni '30 e fondono vita e lavoro

Lee Miller e Man Ray (auto)ritratto di un amore nel nome dell'arte

Eleonora Barbieri

Elizabeth Miller è bellissima. È nata il 23 aprile 1907 in una landa fredda dello Stato di New York; negli anni Venti è già una protagonista della moda e delle feste della Grande Mela. Si fa chiamare Lee, ma il lavoro di modella non le basta.

Nel 1928 Lee Miller vola a Parigi: sogna di passare dall'altra parte della macchina fotografica. Le ha insegnato un po' il padre, fotografo, che fin da bambina la fa mettere in posa per ore. Tanto che la madre è gelosa della figlia: troppo bella, troppe attenzioni. Continua a odiarla perfino dopo lo stupro da parte di uno «zio» di famiglia, uno choc da cui Lee non si riprende mai, nonostante le sedute dallo psicologo e l'affetto del padre. Lee non riesce a dimenticare: sarà per questo, forse, che il suo desiderio è catturare la realtà. Una sera, quando ormai è a Parigi da mesi e i suoi sogni sembrano destinati a fallire, incontra Man Ray e gli chiede un posto da assistente. Vuole imparare dall'artista americano che, già allora (è nato nel 1890; muore a un anno di distanza da Lee: lui nel 1976, lei nel '77), è un maestro. Fotografo, regista, pittore, scultore, protagonista del gruppo dei surrealisti e delle loro serate, al centro di un amore chiacchierato con la scandalosa Kiki de Montparnasse, adorata da tutti i maschi della città.

All'inizio Man vuole che posi per lui. Poi accetta che lei gli faccia da assistente, lasciandole la possibilità di usare la camera oscura e i suoi strumenti. Potevano non innamorarsi, il dio della fotografia e la musa di ogni fotografo? E infatti Lee e Man si innamorano. Lavorano insieme, stampano insieme, scattano insieme. Inventano perfino una tecnica nuova: la solarizzazione. A dire il vero, l'idea iniziale è di Lee. Poi, con Man, provando e riprovando, quell'idea diventa un nuovo modo di usare la luce, il bianco e il nero. Gli anni Trenta di Lee Miller e Man Ray nella Ville Lumière sono L'età della luce, come si intitola un saggio pubblicato all'epoca da Ray (The Age of Light, 1933); e come si intitola, oggi, il romanzo dell'americana Whitney Scharer (Mondadori, pagg. 334, euro 20), dedicato proprio a Lee Miller e all'incontro con Man Ray. Un incontro in cui, oltre alla luce, c'è il buio: e anche questo, dati i protagonisti, non poteva che essere altrimenti.

Man ama profondamente Lee; forse anche troppo. Lui vuole appropriarsi di lei: vuole che tutto ciò che Lee è sia suo, di Man. Corpo, anima, luce, ombra, sesso, pensieri, pose, sguardi, inquadrature. Perfino le intuizioni di Lee diventano le sue, perfino le fotografie scattate da lei. Man Ray è gelosissimo, possessivo, ossessivo. La spinge a riprendere il lavoro da modella, per guadagnare soldi (vivono molto al di sopra delle loro possibilità, fra auto sportive, viaggi a Biarritz, ostriche e vini pregiati), ma poi non vuole che lei viaggi per lavoro. Jean Cocteau la vuole per un film e lui rosica. Ray dovrebbe parlare con Tzara per pubblicare alcune foto di Lee su 221, la rivista che i due dirigono insieme; ma non è mai «il momento giusto per parlare con Tristan». Alle serate dei surrealisti, Lee non sa come comportarsi: da bella statuina, da maschiaccio complice, da sogno erotico, da artista... I surrealisti amano le foto in posa, i set studiati. Lee ama girare con la sua «Rollei» appesa al collo: «Il mondo continua a fare quello che fa, che io lo fotografi o meno. La mia arte... è una questione di scegliere quando rilasciare l'otturatore. Non è allestire una scena e fare una foto. È trovarsi in un posto in un preciso momento e decidere che è un momento al quale forse nessun altro sta dando importanza».

Dieci anni dopo si trova in posti e momenti a cui darà molta importanza, e non solo lei. Nel 1943, quando ormai è a Londra (la storia con Man finisce quando scopre che lui ha mandato delle foto di lei a un concorso, attribuendole a sé stesso), chiede l'accredito come corrispondente di guerra. Si innamora dell'uniforme. Parte per la Francia con l'amico David Scherman, fotoreporter per Life. La Normandia, Parigi occupata, Dachau, Lipsia distrutta, la casa di Hitler... Lee Miller rilascia il suo otturatore sull'Europa bruciata. Foto (alcune delle quali sono esposte fino al 9 giugno a Bologna, a Palazzo Pallavicini, alla mostra «Surrealist Lee Miller») e pezzi sono pubblicati sull'edizione inglese di Vogue, diretto dalla sua amica Audrey Withers. È proprio lei che, molti anni dopo, chiede a Lee un articolo-racconto sulla sua storia d'amore con Man Ray. Un modo doloroso per continuare ad avere un lavoro: Lee Miller, disfatta dall'alcol, ormai scrive solo di ricette e di manicaretti. Non ha mai smesso di indossare pantaloni e casacca.

La guerra, e Man, non se ne sono mai andati.

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