Cronache

Quell'ordine della pm al telefono che ha liberato il senegalese

L'immigrato che ha pestato due poliziotti era stato arrestato poche settimane fa per resistenza a pubblico ufficiale. Ma è stato liberato

Quell'ordine della pm al telefono che ha liberato il senegalese

È bastata una chiamata, niente di più. Al telefono il pm di Torino ha disposto "l'immediata liberazione" del senegalese che solo un paio di settimane dopo avrebbe rifatto tutto d'accapo: agenti pestati, insulti allo Stato e violenze gratuite al grido di "Allah u Akbar". L'arresto di Ndiaye Migui rischia di diventare un caso. E non tanto (o non solo) perché ora è accusato di "tentato omicidio". Ma anche perché lo scorso marzo era stato fermatoper resistenza a pubblico ufficiale e si era fatto beffe dei poliziotti, per poi ritrovarsi libero grazie al pm di turno.

Questa storia, esplosa con l'aggressione di Pasqua, inizia il 29 di marzo. A rivelarlo è una "annotazione" redatta dagli agenti della volante che intervennero all'interno dello stabile a Barriera di Milano. Si tratta di una precisa ricostruzione dei fatti di cui ilGiornale.it è venuto in possesso. "Alle ore 16.05 - si legge - la locale centrale operativa inviava" l'equipaggio "in via Cuneo 20 ove personale della SICURITALIA, addetto alla vigilanza dello stabile e dei lavori in corso d'opera, segnalava la presenza di persone estranee". Una volta sul posto, i due poliziotti si trovano di fronte ad una baracca costruita "con laterizi e scarti industriali". All'interno "bivaccava un soggetto di colore" che non vuole "uscire dalla proprietà".

Il "soggetto" è proprio Ndiaye Migui, lo stesso che due giorni fa ha mandato all'ospedale altri due poliziotti con ferite alla mano e alla testa. In quelle ore la sua identità è però ancora sconusciuta. La volante tenta inutilmente di risalire all'identità del senegalese, il quale - "pur comprendendo la lingua italiana" - si rifiuta di "declinare le proprie generalità". L'africano è vestito con jeans e un imgombrante giubbotto. I poliziotti temono possa nascondere "armi e/o oggetti atti ad offendere", quindi lo perquisiscono. Addosso non gli trovano nulla, neppure i documenti o il permesso di soggiorno. Così lo portano in questura per "sottoporlo ai dovuti rilievi foto dattiloscopici e antropometrici", unico modo per risalire all'identità e la sua posizione in Italia.

Tutto inutile. Ndiaye Migui non si piega e si rifiuta pure di "compilare la scheda identificativa". Gli operatori con "estenuanti richieste" provano a farlo ragionare, senza però riuscirci. Il senagalese li schernisce, insulta Salvini e l'Italia, minaccia di morte gli agenti. Nessuna "opera di convincimento" lo smuove, finché all'improvviso tenta addirittura la fuga. Spintona uno degli poliziotti, gli rifila una "manata in pieno volto" e una volta bloccato si dimena "in maniera furibonda nel tentativo di sottrarsi alla presa".

Sono le 17.15 quando i poliziotti lo arrestano per "resistenza e violenza a pubblico ufficiale". Direte: uno così finirà in cella, almeno per qualche giorno. E invece no. Come da protocollo, alle 17.47 gli operatori telefonano al pm di turno "per notiziarlo dei provvedimenti adottati nei confronti" del senegalese. Il magistrato dà il "nulla osta a procedere all'arresto", precisando però che "il provvedimento in questione sarebbe stato successivamente oggetto di convalida, previo accertamento dei rispettivi riscontri Afis". Intanto il 26enne sarebbe dovuto rimanere nelle camere di sicurezza del Commissariato San Paolo.

Tutto secondo le regole. Peccato che i "riscontri Afis" ("Sistema Automatizzato di Identificazione delle Impronte") indicati dal pm fossero impossibili da reperire visto che lo straniero si era rifiutato di sottoporsi ai rilievi dattiloscopici e antropometrici. Gli agenti telefonano nuovamente al pm e lo informano del disguido. Gli fanno anche notare che senza impronte è impossibile portarlo in una camera di sicurezza. Chiedono allora di poter precedere al "foto segnalamento coattivo" in modo da "garantire i riscontri Afis" all'autorità giudiziaria "necessari al proseguio" del "procedimento" ai danni dell'immigrato.

Il pm però manifesta "il suo totale dissenso" al fotosegnalamento coattivo e invita gli agenti "a mettere in atto ulteriore opera di convincimento". Tanto "prima o poi, a suo dire" avrebbe ceduto alle richieste. Prova ora, prova dopo, l'immigrato non si piega. I poliziotti rialzano nuovamente il telefono e comunicano il fallimentare tentativo di riportare sulla retta via il migrante. Sono le 18.30.

Ora, sorvoliamo sul fatto che per oltre due ore gli uomini in divisa siano stati costretti, anche per indicazione del magistrato, a persuadere un uomo che poco prima aveva insultato e pestato alcuni colleghi. Ma una volta constatato che con le "buone" non si ottiene nulla, ci si attenderebbe il passaggio alle "cattive". E invece il pm che fa? Dispone "l'immediata liberazione del soggetto" arrestato poco prima "pur non essendo riusciti a risalire all'identità e alla posizione giuridica".

Insomma: uno "sconosciuto" con luogo e data di nascita indefiniti è stato rimesso in libertà come se nulla fosse. Tana libera tutti. E così è tornato nella sua baracca pericolante dove ha continuato a bivaccare fino a domenica.

Quando ha (nuovamente) aggredito due poliziotti.

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