Economia

La disoccupazione Usa tocca i minimi da 50 anni

Creati 263mila nuovi posti, ma la manifattura soffre e molte assunzioni sono di tipo stagionale

La disoccupazione Usa tocca i minimi da 50 anni

Il dato da cui partire è questo: in aprile, il tasso di disoccupazione è sceso negli Stati Uniti al 3,6% (dal precedente 3,8%). Per l'America di Trump, è come salire sulla macchina del tempo: bisogna infatti tornare al dicembre 1969, alfa dell'epoca nixoniana e omega della endless summer dei figli dei fiori, per trovare una percentuale simile. Corroborata peraltro dai 263mila nuovi posti creati il mese scorso, mentre gli analisti ne attendevano 190mila. Sono cifre che potrebbero permettere al Pil del secondo trimestre di replicare la traiettoria del primo, periodo in cui la crescita è stata del 3,2%. Il condizionale è tuttavia d'obbligo, dal momento che dal dato disaggregato sui new job emerge qualche nota stonata. La prima riguarda il manifatturiero, in genere il settore con la maggiore concentrazione di lavori a tempo indeterminato, dove il saldo tra licenziamenti e assunzioni è risultato positivo per appena 4mila unità. Al contrario, i 33mila nuovi posti nelle costruzioni sembrano frutto di assunzioni di tipo stagionali; è probabile, quindi, che con maggio il fenomeno si esaurisca. Difficilmente ripetibili appaiono inoltre i numeri della sanità (+53mila, di cui ben 26mila nei servizi sociali) e nei comuni (27mila). Il numero di americani che si accontentano di un lavoro part-time è inoltre rimasto intorno ai 4,7 milioni; si tratta di persone che avrebbero preferito un lavoro a tempo pieno ma che non sono riuscite a trovarlo, o le cui ore di lavoro sono state ridotte. Infine, la media tra gennaio e aprile indica la creazione di 205.000 posti, meno della media mensile di 223mila registrata nel 2018.

È poi opportuno posare la lente anche sulle paghe orarie, monitorate dalla Federal Reserve per valutare l'andamento dell'inflazione. La crescita dei salari è stata dello 0,22% (o di 0,06 dollari) su base mensile a 27,77 dollari; le previsioni erano per un +0,3%. Su base annuale sono saliti del 3,2%, sopra il range tra 1,9 e 2,2% segnato dal 2012 in poi e oltre la media del 2% degli ultimi sei anni. Il dato è nettamente più forte dell'inflazione, ferma all'1,5%. Il motivo di questa dicotomia? Come osserva Bloomberg, la crescita delle retribuzioni è stata guidata da impiegati a basso reddito, cioè quelli in ruoli di produzione e non di supervisione. Ciò che è più preoccupante, è che la settimana lavorativa media è scesa da 34,5 a 34,4 ore, il che significa che che la media dei compensi sarebbe ancora più bassa se le ore lavorate fossero state le stesse.

Insomma, c'è anche della polvere nascosta sotto al tappeto a indicare che nell'economia Usa non è tutto oro ciò che luccica. Una delle ragioni che sta consigliando alla Fed di muoversi con molta cautela sul fronte di tassi, nonostante le reiterate richieste di Trump di un taglio netto, anche di un punto percentuale.

Certo, la preoccupazione per un'inflazione persistentemente debole c'è, e proprio ieri è stata espressa dal numero uno della Fed di Chicago, Charles Evans, secondo il quale la banca centrale potrebbe tagliare il costo del denaro ma soltanto se l'economia dovesse rallentare.

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