Economia

L'Italia non cresce più: i dati di primavera porteranno la stangata

Brutte notizie in arrivo dalla Commissione Ue: il Pil si fermerà allo 0,1%, deficit al 2,5%

L'Italia non cresce più: i dati di primavera porteranno la stangata

Non basteranno i timidi segnali di ripresa a mettere l'economia e le finanze pubbliche italiane nel binario giusto. Domani la Commissione europea diffonderà le previsioni di primavera e per l'Italia non ci saranno buone notizie. Alla fine dell'anno, secondo l'esecutivo di Bruxelles il Pil si fermerà allo 0,1%. Il rapporto tra il deficit nominale e il Pil salirà al 2,5%. C'è una differenza dello 0,1% con le previsioni del governo. Non molto, ma abbastanza per chiedere ulteriori correzioni rispetto a quelle già contenute nella legge di Bilancio (i due miliardi di euro di tagli alla spesa). Ma a preoccupare l'Europa (e i mercati) è il debito pubblico. Il rapporto con il Pil salirà al 133% e continuerà ad aumentare fino al 135% nel 2020.

È l'ulteriore dimostrazione di come il vero fronte per il governo sia la riduzione del debito. Nel Def è ribadito l'impegno a fare privatizzazioni per un punto percentuale di Pil, ma sono in pochi a credere che il governo ce la farà.

In pochi mesi il governo dovrebbe mettere insieme 18 miliardi vendendo quote di società partecipate. Dalla cessione di immobili dovrebbe arrivare un miliardo all'anno nel prossimo triennio. Il ministero dell'Economia dovrebbe avere già pronta la lista di asset da cedere e secondo l'agenzia AdnKronos è emersa qualche novità. Intanto l'immobile che dal 2003 è occupato da Casopound. Un palazzo nel quartiere Esquilino. «Per me quel che conta è innanzitutto sgomberarlo», ha spiegato la viceministra all'Economia Laura Castelli. A occuparsene sarà Invimit con metodologie diverse rispetto alle classiche cartolarizzazioni ora tutte da decidere.

Spunta anche un altro immobile famoso, lo stadio San Paolo di Napoli, il terzo in Italia per capienza e grandezza dopo il Meazza di Milano e l'Olimpico di Roma. Facile immaginare l'obiettivo, cederlo alla squadra partenopea, sul modello dello stadio della Juventus. Entrambi casi difficili.

Per quanto riguarda lo stabile occupato dall'organizzazione politica di estrema destra, c'è il rischio che la cessione inneschi un nuovo scontro politico all'interno della maggioranza. Nel secondo caso, lo stadio è di proprietà del Comune di Napoli. In linea di principio anche le autonomie locali sono coinvolte nel piano di cessione di immobili pubblici, ma siamo ancora nella fase in cui i sindaci devono indicare i beni cedibili. Se l'obiettivo è centrare il miliardo di privatizzazioni, siamo ancora lontani.

Distantissimi dall'obiettivo più ambizioso di cedere asset pubblici per un punto di Pil. Già da mesi la stampa internazionale sta accedendo i riflettori sui 18 miliardi di privatizzazioni scomparsi (recentemente il Financial Times). «Gli operatori finanziari, le grandi banche d'affari - spiega Renato Brunetta di Forza Italia - sanno meglio dei funzionari del Tesoro come funzionano le cose sui mercati azionari e hanno ormai compreso come le privatizzazioni non si possono fare. Anche perché, manca del tutto la volontà per farlo».

Ci sono difficoltà politiche. Inimmaginabile, argomenta Brunetta, che il M5s o la Lega «che hanno fatto del sovranismo e del nazionalismo le loro bandiere» mettano «sul mercato Eni o Enel, i due gioielli di Stato italiani, a cinesi o americani».

Dismissioni difficili anche dal punto di vista tecnico.

Per raggiungere i 18 miliardi il governo dovrebbe mettere sul mercato i suoi migliori asset e dovrebbe cederli praticamente tutti.

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