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Il vero duello è sulle nomine in scadenza

Tofalo: sceglieremo i capi di Eni, Enel, Poste e Leonardo

Il vero duello è sulle nomine in scadenza

Mentre addenta in tutta fretta un panino alla buvette di Montecitorio, Angelo Tofalo, sottosegretario grillino alla Difesa, confida la ragione principale per cui Giggino Di Maio non ha proprio nessuna intenzione di provocare una crisi di governo dopo le elezioni europee. Il personaggio per natura va al sodo. Non per nulla ha studiato all'università dove insegna un democristiano di rito andreottiano come Vincenzo Scotti. «Certo che se Luigi e Salvini continueranno a litigare premette Tofalo finiranno per farsi male. Ma francamente non credo che ci siano più del 10% di possibilità che si arrivi alla rottura prima della primavera del 2020. Il motivo? Questa maggioranza è nata con l'obiettivo di ridisegnare la mappa del potere in Italia. Non penso proprio che i due alla vigilia delle nomine più importanti parlo di Eni, Enel, Leonardo, Enav e Poste divorzino. Renzi, per esempio, per decidere quelle nomine mandò a casa Letta in un batter d'occhio!». Tofalo potrà apparire fin troppo pragmatico, quasi cinico, ma il suo ragionamento tra le mille congetture che dividono il Palazzo tra i profeti della crisi e delle elezioni in autunno e i veggenti che considerano l'attuale governo più longevo, non fa una piega. Per alcuni versi è il più convincente, se si considera che l'accordo tra leghisti e grillini è essenzialmente un accordo di potere. Da sempre. «Nel contratto di governo avremmo potuto metterci pure le idee di Nerone disse alla vigilia della genesi del governo gialloverde una delle teste d'uovo del Carroccio, Alberto Bagnai poco importa. Contano di più le 300 nomine che arriveranno a scadenza». E, inutile aggiungere, che il bottino più ricco di poltrone arriverà sul tavolo dell'esecutivo proprio la prossima primavera.

Appunto, il potere. Per districarsi nella giungla di diatribe e di polemiche che dividono in questa campagna elettorale i gialli dai verdi, la bussola deve puntare sempre sull'orizzonte del potere. Magari, come dice Giorgetti, «ne vedremo delle belle, perché nelle partite di calcio ci si mena», ma è difficile che Di Maio e Salvini (entrambi continuano a scartare l'ipotesi di una crisi a giugno pubblicamente) non trovino un'intesa sull'Autonomia o chessò sul nuovo decreto sicurezza: grazie al condimento delle nomine anche il boccone più indigesto va giù. Del resto anche in questa campagna elettorale ci sono stati duelli in Consiglio dei ministri, comizi al vetriolo, addirittura le dimissioni del sottosegretario Siri, ma il braccio di ferro più cruento, e sotterraneo, riguarda le nomine Rai e, addirittura, tutti e due partner di governo ora hanno messo sul tavolo anche i servizi segreti: il paradosso è che in entrambi i casi debbono essere scelti i vicedirettori. Per cui la spartizione non riguarda solo i numeri uno, ma anche i numeri due. Se la nomina di un vicedirettore di rete Rai è importante nelle logiche gialloverdi, figurarsi la scelta del presidente dell'Eni o dell'amministratore dell'Enel.

La ragione è squisitamente politica, perché è attraverso il potere che Salvini e Di Maio vogliono ridisegnare lo scenario politico italiano. Nel corridoio dei passi perduti, Roberto Maroni, che conosce bene Salvini, spiega il pensiero del suo successore. «Non fatevi illusioni esordisce . Matteo vuole la Lega partito egemone. Per questo, anche se Berlusconi non vuole crederci, Salvini punta a farlo fuori. Immaginate, se il Cav facesse un fiasco alle Europee, Forza Italia sparirebbe. E a lui andrebbe bene. Salvini punta a questo, come Di Maio all'estinzione del Pd, della sinistra di governo. Per cui oggi litigano ma dopo le Europee faranno pace: daranno vita ad una revisione del contratto, dando il via libera all'autonomia regionale e qualcos'altro». Maroni ne è sicuro: «Alla fine andranno avanti. In autunno si vota in Emilia e se, come è probabile, la Lega vincerà, Salvini avrà un ottimo trampolino di lancio per la campagna di primavera: nei primi sei mesi dell'anno farà le nomine più importanti e, poi, andrà alle elezioni politiche insieme alle Regionali del Veneto. L'unica cosa a cui non credo è una rottura dopo le Europee. I presagi di crisi di Giorgetti? Fa solo il pesce in barile. Lui farà quello che decide Salvini, è l'ultimo dei bolscevichi».

Certo, c'è nel Palazzo chi la pensa in maniera diversa. C'è chi giudica la situazione economica insostenibile, lo spread che si impenna, il nervosismo dell'Unione Europea. «Questi scommette l'azzurro Roberto Occhiuto rischiano di andare in tilt sulla prossima legge di bilancio. Per questo si voterà a settembre». Addirittura dalle parti di Arcore c'è ancora chi coltiva l'ipotesi di un governo di centrodestra come epilogo dello scontro tra grillini e leghisti. Solo che proprio lo spread e l'esigenza di avere un governo in carica quando a luglio si decideranno i nomi della commissione Ue e i capi di gabinetto, potrebbe consigliare cautela: altre nomine.

E, infatti, a parte i risentimenti verso le boutade di Di Maio e soci, sono proprio i leghisti i più prudenti a parlare di rottura, di crisi di governo, di urne anticipate. «Le elezioni? La tempistica ci è avversa», ammette il capogruppo dei senatori leghisti, Massimiliano Romeo. «Le urne solo nel caso la Lega raggiunga il 36% e i grillini vadano sotto il 20%», è la previsione del leader dei giovani padani, Andrea Crippa. Ipotesi che, per ora, non trova riscontro nei sondaggi.

Eppoi c'è un altro elemento che i teorici delle urne a breve non debbono sottovalutare: la questione giudiziaria. Tanto per cominciare tra maggio e giugno andranno a sentenza due processi che vedono imputati due esponenti di primo piano della Lega, Rixi e Garavaglia. E le vicende di queste settimane in Lombardia hanno messo in guardia il gruppo dirigente della Lega. «Noi osserva il capo dei senatori del Carroccio Massimiliano Romeo possiamo pure raggiungere il 36% alle Europee. Ma con l'inchiesta in Lombardia aperta e l'affetto che mostra verso di noi una certa magistratura, non è detto che non ci sia un'altra ondata di avvisi di garanzia, così ti ritrovi al 25% per un nonnulla. E a quel punto che fai? Gli ultimi avvenimenti dimostrano che i grillini hanno un feeling con una certa magistratura, quella di Davigo per intenderci, mentre noi siamo soli. Per cui non siamo propensi al voto. Certo, se poi i grillini puntassero a fregarci sull'Autonomia, a bloccarla, è un'altra cosa. È il nostro Dna, l'obiettivo dalle origini».

A conti fatti, quindi, anche per portare i leghisti alle urne, bisognerà trascinarli.

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