Nella mattinata di giovedì a Mosca agenti del Fsb hanno arrestato il 26enne Georgy Guev, originario dell’Ossezia settentrionale, con l’accusa di aver inviato all’Isis denaro per il valore di 50 milioni di rubli (circa 700mila euro).

Durante le perquisizioni nella sua abitazione sono stati rinvenuti diversi telefoni cellulari, numerose carte di credito, tablet, pc e chiavette che sono ora al vaglio degli inquirenti. Il giorno precedente, a Stavropol, le forze di sicurezza avevano arrestato un soggetto legato all’Isis e sospettato di preparare attentati nella zona mentre il 4 marzo erano le autorità daghestane a prelevare all’aeroporto di Makhachkala il 30enne Biysoltan Djamalov, individuato in Turchia, arrestato e rimpatriato.

Il soggetto in questione era nella lista nera delle autorità russe in quanto membro dell’Isis e foreign fighter in Siria dal settembre 2016 al gennaio 2019, come da egli stesso confessato durante l’interrogatorio. Assieme a Djamalov è stata arrestata e rimpatriata anche una donna che era assieme a lui, accusata di aver raccolto e trasferito fondi per un valore di 300mila rubli ai jihadisti in Siria.

Venivano inoltre scoperti due nascondigli con all’interno arsenali presso il villaggio ceceno di in Stalskoe (distretto di Kizilyurt) e in una zona boscosa a Urus-Martan, Cecenia.

Una panoramica sul jihad in Russia da inizio anno

Nei mesi di marzo e aprile sono stati segnalati almeno 13 arresti messi in atto in territorio russo (Caucaso settentrionale escluso) a Stavropol, Primorsky e Mosca mentre altri 4 venivano eliminati in scontri a fuoco a Balki e Tjumen.

Per quanto riguarda il Caucaso settentrionale, venivano segnalate diverse operazioni anti-terrorismo che hanno portato ad arresti ed eliminazioni di jihadisti tra cui quella di Sahib Abakarov, classe 1996, ucciso a febbraio in un villaggio nella zona di Derbent dopo uno scontro a fuoco. Il jihadista, legato all’Isis, stava preparando un attentato assieme alla propria cellula e all’interno del suo nascondiglio è stato rinvenuto un giubbotto esplosivo, armi, munizioni e materiale per la fabbricazione di ordigni esplosivi.

Il 15 marzo invece due individui di 41 e 29 anni venivano arrestati in Daghestan con l’accusa di aver trasferito 10 milioni di rubli all’Isis via internet, episodio simile a quello di qualche giorno fa a Mosca che ha coinvolto Guev.

Vale inoltre la pena ricordare l’attentato del 12 gennaio in Inguscezia che ha preso di mira il direttore del “Center for Combating Extremism”, Ibragim Eldjarkiev, rimasto fortunatamente illeso dopo che alcuni jihadisti hanno aperto il fuoco contro la sua auto.

Ad aprile invece in Kabardino-Balkaria le forze di sicurezza hanno arrestato un soggetto legato all’Isis con decennale militanza nel jihadismo kabardino nonché membro della banda “Baksan”.

La Cecenia

Per quanto riguarda la Cecenia, vanno segnalati una serie di attentati messi in atto dai jihadisti wahabiti, il primo avvenuto a gennaio a Sunzha, quando un individuo armato poi identificato come Mansour Beltoev, apriva il fuoco e feriva due uomini della Guardia Nazionale per poi fuggire nel bosco. Beltoev, che risultava già nella black list federale, veniva individuato ed abbattuto qualche ora dopo dall’unità “Terek”. L’attacco veniva menzionato sulla rivista dell’Isis “al-Naba” con tanto di foto dell’attentatore.

Il 23 aprile tra Grozny e la capitale daghestana di Makhachkala veniva invece portata a termine un’operazione anti-terrorismo con l’arresto di cinque terroristi dell’Isis. La cellula stava pianificando attentati contro le forze di sicurezza a Grozny e nella città daghestana di Kaspiysk.

A metà maggio veniva poi sgominata un’altra cellula jihadista capeggiata dal 21enne Ismail Magomadov, alla quale veniva attribuito l’attacco dello scorso 22 aprile contro alcuni agenti a Urus-Martan.

Nel frattempo da Washington viene reso noto che il ministero del Tesoro ha imposto sanzioni economiche nei confronti dell’unità cecena di risposta immediata anti-terrorismo “Terek” e il suo comandante, Abuzayed Vismuradov, oltre ad altri quattro cittadini russi, con l’accusa di tortura e violazione dei diritti umani, in particolare in relazione ai casi Magnitsky e Nemtsov.

Il provvedimento, meglio noto come “Sergei Magnitsky Rule of Law Accountability Act”, veniva attuato dal Congresso e firmato dall’ex presidente Obama nel dicembre del 2012.

Una decisione che ha destato perplessità in Russia, considerato che l’unità “Terek” è una delle unità speciali che si occupa del contrasto al terrorismo e all’estremismo di matrice ikhwanita e wahhabita in Cecenia.

L’attuale situazione e una previsione a breve termine

Sono diversi gli aspetti che emergono in questi primi mesi del 2019 per quanto riguarda l’attività jihadista in Russia e Caucaso settentrionale.

Innanzitutto è bene evidenziare come alcune delle operazioni anti-terrorismo volte a sgominare cellule jihadiste si siano verificate in zone relativamente remote come Tjumen, città di circa 720mila abitanti della Siberia occidentale non lontana dal confine kazako e a Primorsky, nell’estremo oriente russo, cellule rispettivamente legate a Isis e Jamat al-Tawhid waal Jihad.

Ciò potrebbe indicare che le cellule jihadiste stanno cercando di individuare zone plausibilmente meno controllate dalle forze di sicurezza rispetto alle aree metropolitane della Russia occidentale e nel Caucaso, in modo da poter portare a termine attacchi. Un piano che, almeno fin’ora, non è ha però dato alcun esito.

In secondo luogo va tenuto conto degli arresti fatti nei confronti di finanziatori dell’Isis, a Mosca e Makhachkala, per un valore di almeno 60 milioni di rubli (840mila euro circa). Nel caso dell’arresto di giovedì scorso a Mosca, Guev era in possesso di una notevole quantità di carte con le quali avrebbe operato transazioni a favore dei jihadisti; il materiale rinvenuto nella sua abitazione lascia pensare a una rete finanziaria ben più ampia.

Per quanto riguarda il Caucaso settentrionale, risulta evidente il tracollo jihadista dell’emirato del Caucaso e di quanto rimane dell’Isis. Il “Califfato” fa fatica a far breccia in Cecenia, Daghestan e le repubbliche limitrofe e ciò è dovuto a diversi fattori: in primis le unità jihadiste confluite in Siria sono state decimate dall’intervento militare congiunto russo e siriano. Come evidenziato dall’analista Mikhail Roschin, i sopravvissuti al jihad riscontrano enormi difficoltà a rientrare nelle zone d’origine in quanto le forze di sicurezza controllano minuziosamente i confini; non resta loro dunque altro che cercare di reclutare membri delle bande jihadiste locali tramite canali “virtuali”, chiaramente sotto controllo. Il punto è che queste bande (così denominate in quanto formate spesso da banditi che hanno abbracciato per convenienza la causa jihadista, mentre altri sono “residuati” dell’ex Emirato del Caucaso) sono frammentate, destrutturate, prive di una struttura che le collega tra loro e senza una catena di comando. In aggiunta sono tutte ben note ai servizi di sicurezza russi che, come dimostrano i fatti, non riscontrano particolari difficoltà ad individuarle e neutralizzarle.

Va inoltre evidenziato come una delle prevalenti modalità operative di queste bande, che predilige gli attacchi a sorpresa contro agenti delle forze di sicurezza, negli ultimi mesi ha quasi sempre portato all’uccisione degli stessi terroristi, mentre negli anni precedenti il numero di vittime tra gli agenti era ben più elevato.

Risulta poi particolarmente efficace il progetto di prevenzione alla radicalizzazione messo in atto dalle istituzioni federali assieme alle comunità islamiche ufficiali che puntano a mostrare ai giovani musulmani la corretta e moderata visione religiosa, basata anche su peculiarità legate all’islam autoctono, con notevole influenza sufi, che nulla ha a che spartire con il wahabismo e l’islam dei Fratelli Musulmani, ideologie importate dall’estero con obiettivi politici.

Da Mosca resta comunque alta la guardia in quanto l’Isis, dopo aver perso il territorio in Siria, cercherà in tutti i modi di colpire in territorio russo; del resto è stata proprio la campagna militare di Mosca a dare i colpi definitivi al Califfato.

In aggiunta in territorio federale restano attivi gruppi come Jamat al-Tawhid waal Jihad, Hizb ut-Tahrir e al-Qaeda. Bisogna inoltre tener presente che oltre al rientro di potenziali jihadisti del Caucaso c’è anche tutta la componente legata ai foreign fighters provenienti dalle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale e non a caso tra gli arrestati dei primi mesi del 2019 erano presenti diversi soggetti originari di quelle zone.