Sotto l’apparente tranquillità della Birmania si nascondono tensioni antiche pronte a esplodere da un momento all’altro. A poco servono i continui appelli più o meno istituzionali lanciati dalla consigliere di Stato Aung San Suu Kyi, perché le differenze etniche e religiose continuano a minacciare la fragile tenuta sociale della popolazione birmana.

Chiuse tre moschee

L’ultimo episodio di violenza nel Paese è arrivato pochi giorni fa, quando un gruppo di nazionalisti buddisti ha imposto la chiusura forzata di tre luoghi di preghiera temporanei concessi dalla municipalità di South Dagon – nei pressi di Yangon – ai fedeli islamici. In occasione del mese sacro del Ramadan i funzionari della città situata a sud-est dell’ex capitale Yangon avevano allestito tre edifici residenziali a uso della comunità islamica locale fino al 7 giugno.

La folla scende in piazza

I buddisti, che rappresentano più o meno il 90% dei birmani, non sono in buoni rapporti con i musulmani; emblematico è il caso della minoranza Rohingya, tema affrontato da più prospettive. Tornando a South Dagon, come riferisce un funzionario al quotidiano birmano Irrawaddy, un gruppo di 200 persone si è radunata fuori dagli edifici con fare minaccioso per protestare contro la decisione della municipalità di concedere le sale di preghiera agli islamici.

L’insofferenza dei buddisti contro i fedeli islamici

Alcuni monaci sono entrati negli stabili e hanno costretto i leader islamici a firmare un documento per impedir loro di tornare in quegli stabili a pregare. Ufficialmente gli edifici sono stati considerati “illegali”. Le autorità avrebbero assistito a tutta la scena ma non sarebbero intervenute. La comunità musulmana di South Dagon avevano chiesto di costruire una moschea permanente ma i residenti della zona hanno sempre impedito che ciò avvenisse. Per questo motivo l’amministrazione locale ha concesso ai fedeli islamici tre sale a tempo.

Equilibrio instabile

Come riporta l’agenzia Asianews, uno dei capi della folla riottosa era U Michael Kyaw Myint. Il leader nazionalista ha più volte ripetuto come le attività religiose islamiche in edifici residenziali siano inaccettabili. “Le autorità – ha dichiarato Myint – possono accettarlo, noi no. Scoveremo altri luoghi simili e li chiuderemo tutti”. San Suu Kyi ha più volte richiamato le parti a una convivenza pacifica ma le sue sono sempre state parole al vento. E pensare che lo scorso maggio aveva chiesto alle minoranze etniche e religiose birmane unità e comprensione reciproca.