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Addio politichese, travolto dalla trivialità

Addio politichese, travolto dalla trivialità

Ci si abitua a tutto in questa inedita Italia, plasmata dalle rudezze salviniane e dagli attentati alle buone maniere di stampo grillino. Ci sia concesso però di restare a bocca aperta, come avvenuto ieri mattina alle 10.21 quando l'agenzia Adnkronos ha battuto una notizia flash surreale, corredata di due asterischi come richiedono i grandi eventi dell'ultima ora: GOVERNO: DI MAIO,«AVANTI MA PATTO, PIÙ LAVORO MENO STRONZATE». L'agenzia fa il suo lavoro in modo impeccabile, un vicepresidente del Consiglio sceglie invece di esercitare il suo ruolo fuori dai canoni istituzionali e soprattutto da quelli del buon gusto.

Un dissidio nella maggioranza di governo deve ormai essere sovra rappresentato. Non basta affermare che non si è d'accordo: un malinteso senso dell'efficacia comunicativa richiede la parolaccia apodittica. Sostenere che l'abolizione del reato di abuso d'ufficio, proposta da Salvini, è una «str...», è la negazione della dialettica politica. Con un termine così volgare, senza sfumature o plurime interpretazioni, la discussione è finita. Stop.

Governare con le imprecazioni è un metodo comodo: si lascia intendere che si hanno le idee chiare e si passa subito al prossimo tema da bollare in modo più o meno colorito.

Oggi il turpiloquio, sdoganato dai social e dalla vulgata peninsulare, si è impadronito totalmente del Palazzo dove una volta si ammettevano magari ruberie e sprechi, ma non infrazioni plateali dell'etichetta. Sarà stata ipocrisia da bacchettoni Dc o moralisti Pci, però le scurrilità non venivano dichiarate deliberatamente alle agenzie. In uno dei momenti più drammatici del Paese, nel febbraio 1978, il leader democristiano Aldo Moro dovette giustificarsi per l'uso disinvolto di un termine, nel corso di quello che diventò il suo testamento politico: il via libera al governo di solidarietà nazionale sostenuto dal Pci. «Il Corriere della Sera in un articolo di linguistica politica, (...) mi riconosce una certa sobrietà, ma mi addebita il fatto di aver pronunciato una volta il termine angosciosi». Quarantun anni fa uno statista faceva scandalo se citava l'aggettivo «angosciosi», oggi i suoi successori a Palazzo Chigi si esibiscono nel repertorio da osteria. Di Maio aveva sfoderato la «beneamata ceppa» sui termovalorizzatori in Campania, Salvini si era professato «incazzato nero» quando Mattarella fermò al primo giro il governo gialloverde. E Di Battista aveva tratteggiato i giornalisti con una pennellata secca: «Pennivendoli puttane». Senza tralasciare il contorno di «infame», «verme» e «terrone di m...» che sono risuonati negli ultimi mesi in aula o in dichiarazioni ufficiali.

È la naturale deriva di un Paese con poco equilibrio che quando si decide a combattere un male, spesso ne riproduce uno ben peggiore. Così tra un post e un'invettiva i gialloverdi hanno decretato la fine del politichese inviso a tutti gli italiani. Non ascolteremo più rispettosi parlamentari rivolgersi a un ministro con il pronome «Ella» o farcire i discorsi di giravolte tipo «piace incidentalmente fare notare». Dal barocco al trivio non ci sono più intermediazioni, è il nuovo maggioritario secco del linguaggio di Palazzo. Non si possono certo impedire i cambiamenti di costume o il travolgente incedere del nuovo che avanza. Salvo scoprire un giorno che tutto questo è solo una «str...

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