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Ferrari: "Da Ascari a Lauda e Kimi. Vi racconto i campioni della Rossa"

Piero, il figlio del Drake: «Li ho conosciuti tutti tranne uno... Su Niki aveva ragione papà. Avrebbe amato tanto Schumi»

Ferrari: "Da Ascari a Lauda e Kimi. Vi racconto i campioni della Rossa"

Mio padre aveva scritto un volume intero dedicato ai piloti, non solo a quelli che avevano corso per la Ferrari. Nel suo Piloti che gente ne ha raccontato le storie, i pregi, i difetti. Si intendeva anche di uomini e non solo di macchine, d'altra parte si è sempre definito un agitatore di idee e di uomini. Li capiva, li stimava, qualche volta lo facevano arrabbiare perché maltrattavano il mezzo meccanico, ma essendo stato a sua volta un pilota sapeva benissimo le difficoltà che potevano incontrare quando si mettevano al volante. Per mio padre il pilota era uno strumento per raggiungere la vittoria, ma uno strumento necessario e indispensabile perché fortunatamente non esistono ancora gare con auto di Formula 1 a guida autonoma (...)

In questo libro si raccontano le storie degli uomini che hanno portato a Maranello il titolo mondiale piloti. Le loro sono storie incredibili, perché sono tutti personaggi straordinari. Uomini di grande talento e grande coraggio. Li ho conosciuti tutti a parte Alberto Ascari di cui però mio padre mi ha raccontato tanto perché era con lui che aveva conquistato i primi due titoli mondiali. La sua tragica fine colpì molto mio padre perché se ne era andato dalla Ferrari per correre con altri, ma morì guidando una Ferrari. Una morte misteriosa. Purtroppo dopo di lui nessun altro pilota italiano è diventato campione del mondo, mi sarebbe piaciuto veder vincere Michele Alboreto, un campione a cui sia io che mio padre eravamo molto affezionati. Fangio era una persona di grandi capacità e di grande intelligenza, un grande professionista, ma anche una persona difficile da capire. Fu bravissimo a fare sempre le scelte giuste a salire sulle macchine vincenti. Con noi corse un solo anno e vinse, ma poi credo che pretendesse troppi soldi per restare con noi. Con mio padre ebbe dei rapporti molto difficili (...)

Quando Phil Hill vinse il suo mondiale io ero a Monza in tribuna e di quel giorno ho ricordi molto contrastanti. La gioia per la vittoria, ma anche il dolore per quanto era accaduto alla Parabolica. Ma in quei tempi non c'erano gli strumenti di oggi e io seppi della morte di Von Trips e degli spettatori solo quando, risalito in macchina per tornare a casa, accesi l'autoradio (...)

Hill, Hawthorn, Surtees rappresentano i ricordi perché io cominciai a lavorare in Ferrari solo nel 1965. Con i piloti che sono arrivati dopo ho avuto rapporti professionali, ma anche amichevoli. Sono rimasto in contatto con tutti. Con Lauda all'inizio facevo da interprete ed era sempre interessante assistere ai suoi colloqui con mio padre. Niki non è mai stato un uomo banale, anche quando faceva una battuta dietro c'era sempre qualcosa di vero. Era un pilota con una sensibilità incredibile, utilizzava le auto al massimo, ma rispettava la meccanica (...) Con papà non capimmo mai perché preferì andarsene anche perché mio padre era pronto a raddoppiargli l'ingaggio e credo avesse ragione mio padre a dire che se fosse restato almeno un mondiale in più lo avrebbe vinto. Ma si era rotto qualcosa evidentemente. Il mondiale lo vinse poi nel 1979 Scheckter. Lo volevamo per sostituire Niki, ma lui aveva già un contratto. Restai in contatto un anno e alla fine venne con noi. Vinse subito il mondiale in una stagione in cui ebbe un rapporto eccezionale con Gilles. Erano avversari, ma compagni che credo si volessero bene. Jody restò molto vicino alla moglie di Gilles dopo la sua morte. Anche lui era un uomo molto intelligente come dimostrano i successi che ha avuto negli affari. Si era posto l'obbiettivo di vincere il mondiale e una volta che lo raggiunse perse gli stimoli e la voglia. Ricordo che il giorno del titolo a Monza lo abbracciai al motorhome dicendogli: «Grande Jody, finalmente campione del mondo». Ma lui mi rispose: «Mi sento come prima, sono la stessa persona di prima. Desideravo tanto diventare campione, ma adesso mi sento come prima».

Non avrei mai pensato di dover aspettare poi 21 anni per rivedere un pilota campione del mondo con la Ferrari. Dovemmo aspettare l'era di Michael Schumacher. Un pilota eccezionale, ma anche un uomo speciale che sarebbe piaciuto molto a mio padre e non solo per i risultati. Ha dimostrato subito di avere qualcosa in più, di fare la differenza con gli altri piloti. Quando salì su una Ferrari che non era ancora vincente riuscì comunque a vincere delle gare. Poi conquistò 5 mondiali e forse avrebbe potuto vincerne anche un paio in più. Possiamo solo dirgli grazie. Mi manca, ci manca, anche perché ricordo che quando veniva a cena a casa mia con lui era piacevole parlare di tutto e non solo di corse. Era davvero una persona speciale che arrivato da noi ancora ragazzo e in Ferrari è diventato uomo. Adesso sta cominciando a correre e a vincere suo figlio Mick. Chissà che un giorno non possa raccoglierne l'eredità anche in Ferrari. L'ultimo a vincere un campionato, per ora, è stato Raikkonen una persona particolare, ma un pilota che mi è sempre piaciuto nonostante abbia uno stile di guida e dei modi di fare tutti suoi. Quando ha fiducia nella macchina diventa velocissimo. Ha vinto un mondiale viaggiando sulla scia di quanto si era costruito con Schumacher. L'onda lunga di quei successi arrivò fino al 2007 e poi al 2008 quando il mondiale lo sfiorammo con Massa.

Da allora non abbiamo più vinto, ma la Ferrari è sempre lì, ancora competitiva, pronta a riaprire un ciclo prima o poi.

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