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L'ossessione "europea" delle donne nigeriane: usare le creme sbiancanti

Diversi studi oramai riportano come molte donne in Africa sognano di assomigliare sempre di più ai canoni di bellezza europei, tanto da spendere soldi in prodotti volti a sbiancare la pelle

La modella Blac Chyna, criticata in Nigeria per la promozione di cosmetici per lo sbiancamento
La modella Blac Chyna, criticata in Nigeria per la promozione di cosmetici per lo sbiancamento

È un fenomeno che appare sempre più diffuso in varie parti dell’Africa, riscontrato soprattutto in alcune grandi città del continente nero e che, a detta di molte associazioni che si occupano del problema, costituisce una piaga non indifferente per le donne: avvicinarsi sempre più ai canoni estetici europei.

Un principio sempre più estremizzato, tanto da non riguardare vestiario e moda bensì lo stesso colore della pelle. Ebbene sì, in Africa vi è il boom di cosmetici e pillole volte a rendere bianche le donne africane.

Si tratta di una vera e propria inquietante corsa allo scolorimento della pelle: ragazze, adolescenti, oppure anche mamme, appaiono invogliate ad intervenire con ogni tipo di prodotto pur di essere meno nere possibili. Si registrano anche episodi in cui alcune donne in gravidanza assumono pillole con l’obiettivo di far nascere la propria figlia con un colore più chiaro della pelle.

Un’usanza aberrante da un punto di vista etico, ma anche pericolosa sotto il profilo della salute. Diversi medici a Lagos, ad esempio, vedono arrivare al pronto soccorso anche bambine con ustioni e danni provocati da creme ed altri prodotti sbiancanti. Proprio nella metropoli nigeriana, nei mesi scorsi la modella Blac Chyna, tra le più famose del continente, finisce nella bufera mediatica perchè promuove una gamma di prodotti volti a rendere chiara la pelle.

Un allarme che va dalla più grande metropoli nigeriana, fino ad Accra nel Ghana, così come a Pretoria e Johannesburg in Sudafrica. Proprio qui, nella nazione il cui simbolo è Nelson Mandela ed in cui per anni si è lottato per l’emancipazione della popolazione di colore, molte donne fanno la corsa a prodotti sbiancanti.

Tutto questo perché, come rivelano i fautori della campagna social #Melaninpoppin, in Africa si sta diffondendo la convinzione che si può avere più successo se si assomiglia di più ad una donna occidentale. Una moda macabra, che coinvolge sia i ceti benestanti ma anche medi. In Nigeria ad esempio, dove il fenomeno appare più diffuso, diverse associazioni di medici sottolineano la gravità della situazione e denunciano numeri sempre più importanti di donne con gravi problemi di salute per l’uso di prodotti sbiancanti.

Su La Stampa, in un articolo viene riportata l’esperienza di una donna medico che a Lagos oramai affronta vere e proprie emergenze derivanti dall’assunzione di pillole o dall’uso di creme indicate come sbiancanti.

Una moda che si diffonde soprattutto via social: su Instagram ad esempio, diverse giovani “influencer” africane mostrano quali prodotti usare e che metodi applicare per diventare più bianche. Una moda che pone poi problemi di altro genere: sempre in Nigeria ad esempio, un barattolo di crema sbiancante costa quanto lo stipendio medio di un impiegato.

In poche possono permetterselo e così ci si rivolge al mercato della contraffazione. Il risultato è che centinaia di ragazze nigeriane e non solo hanno addosso, tra creme e pillole, prodotti pericolosi e non certificati con sostanze tossiche che rischiano di creare problemi soprattutto alla salute. In Sudafrica nei giorni scorsi fa scalpore la pubblicazione di uno studio del British Journal of Dermatology, da cui si evince che una donna su tre a Durban, città costiera del paese, usa prodotti sbiancanti con sostanze vietate dal governo.

Un fenomeno preoccupante ed in continua crescita, un’esasperazione della volontà di omologazione ai canoni estetici universali, che fa quasi vergognare della propria pelle nera migliaia di ragazze africane.

Una situazione impensabile fino a pochi anni fa, su cui adesso diverse associazioni accendono i riflettori chiedendo agli stessi governi africani di intervenire.

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