Lontano dai media, lontano dal cuore? “Purtroppo sì, è questa l’impressione che si ha negli ultimi tempi in Italia”, dichiara a InsideOver la docente Michela Mercuri con riferimento alla questione libica: “La Libia – prosegue la dottoressa Mercuri – fino a poche settimane fa sembra centrale nel dibattito politico, poi di fatto cade nel dimenticatoio. E questo non dovrebbe succedere”.

Quel “vizietto” tutto italiano

Uno spunto, quello della Mercuri, che aiuta a comprendere un fenomeno tipicamente in voga dalle nostre parti, ossia quello di considerare la politica estera subordinata alle varie questioni interne e di non avere sull’argomento un approccio a lungo termine, una visione in grado di oltrepassare le querelle del momento. Anzi, quando si parla di politica estera l’argomento in questione diventa esso stesso solo un problema passeggero, una disputa in auge solo nelle settimane in cui la tematica suscita interesse. Poi, tanto nella politica quanto tra molti media, ci si tira indietro. La Libia, come detto, ne è un lampante esempio: è nostra ex colonia, è un paese dirimpettaio da cui dipendono molti dei nostri interessi, dalla sicurezza alle forniture energetiche, eppure l’interesse sul caso va ad intermittenza. Ci sono momenti in cui il caos post Gheddafi diventa preminente in parlamento e nei dibattiti, ma è solo questione delle emozioni del momento date da determinati episodi. Poi tutto ritorna in secondo piano. A guardare l’attuale atteggiamento italiano, sembra che la battaglia di Tripoli ad esempio sia finita. Ad aprile, quando Haftar inizia ad avanzare verso la capitale libica, il nostro paese appare come preso dall’ansia di vedersi sfilare da sotto gli occhi quel che rimane della propria influenza nel nord Africa. Adesso non se ne parla più, durante la campagna elettorale per le europee poche parole o forse proprio nessuna sulle strategie da attuare in Libia.

Ed anche dopo le europee, nella confusione generale dell’attuale quadro politico nessuno sembra più interessarsi della guerra in Libia, che nel frattempo continua a mietere vittime, oltre a contribuire a destabilizzare ulteriormente il già fragile quadro nordafricano. Quello italiano sembra un vizio consolidato oramai da decenni: si guarda più all’orticello di casa ed alla polemica del momento piuttosto che a considerare il nostro paese nella sua più ampia visione generale e nella sua collocazione internazionale. Di conseguenza, a mancare è soprattutto una strategia a lungo termine, slegata da logiche politico – partitiche della più stretta e futile (oltre che banale) attualità. La nostra diplomazia lavora sul terreno, ma dalle cosiddette “stanze dei bottoni” mancano gli stimoli, mancano gli input, manca la consapevolezza sul fatto che un paese come il nostro non può accontentarsi di volgere lo sguardo verso il mondo attraverso uno specchio.

Si parla di terza Repubblica, ma in realtà colorazione a parte delle schede elettorali nulla sembra poi così diverso dalla prima di Repubblica: l’Italia, oggi come agli albori della sua nuova conformazione repubblicana, più che ad una penisola protesa verso il Mediterraneo assomiglia molto ad una zattera in balia delle onde di tre mari, dove si prova a sopravvivere ed a galleggiare e dove, soprattutto, ognuno prova a remare unicamente verso la propria corrente.

Perché è importante tornare a parlare di Libia

“Questo è un po’ il problema della nostra politica estera, noi abbiamo un po’ uno sguardo corto – afferma Michela Mercuri, commentando l’attuale silenzio sul dossier libico – Manca un’agenda anche di medio e breve termine, sulla Libia sta accadendo esattamente questo. Abbiamo entusiasmo diplomatico sul momento, ma poi non concretizziamo alla lunga distanza. Per usare un gergo calcistico, siamo bravi a schivare gli avversari ed a portare la palla fino a metà campo, ma dovremmo imparare a tirare in porta”.

E sul momento in effetti qualcosa di buono l’abbiamo anche prodotta. L’iniziativa che porta al vertice di Palermo dello scorso novembre, sembra portare con sé ottime ambizioni culminate poi con la stretta di mano a favore di telecamera tra Haftar ed Al Sarraj e con il premier Conte alle loro spalle. Poi, l’azione italiana sembra affievolirsi ed il nostro paese viene sorpreso dalle avanzate del generale Haftar verso Tripoli. Da Roma si prova quindi a rialzare il livello di attenzione sul dossier libico, le incombenze elettorali europee sovrastano però ogni cosa e si ritorna ad un silenzio sulla Libia che, oltre ad essere assordante, è anche dannoso per il nostro paese. Un silenzio che, scavando anche soltanto nella storia recente, è poi lo stesso che anni fa porta ad appoggiare l’intervento anglo – francese contro Gheddafi, che a sua volta è poi identico a quello che poco tempo dopo ci fa assistere quasi impotenti alla crisi migratoria successiva alla deflagrazione dello Stato libico. Un silenzio che, per meglio rendere l’idea, tradisce un immobilismo che da anni ci fa subire le politiche dei partner ed a non essere protagonisti del nostro stesso destino.

Di Libia occorre tornare ad occuparsene, a rendere l’argomento nuovamente tra le priorità dell’agenda italiana. “Sono tanti i motivi per farlo – sottolinea Michela Mercuri – Il momento attuale impone un’iniziativa da parte nostra in grado di poter dare un impulso decisivo alla risoluzione della vicenda. In primo luogo c’è un’impasse da parte di tutti i principali attori internazionali, a partire dall’inviato Onu Ghassan Salamé, che nei mesi scorsi punta tutto sulla conferenza nazionale poi saltata per via della guerra”.

“L’Italia dovrebbe riprendere i contatti con le varie diplomazie – prosegue poi la docente – dalla Russia con cui abbiamo un buon rapporto e che sostiene Haftar, fino agli stessi Stati Uniti i quali formalmente appoggiano il governo di Al Sarraj ma dialogano con Haftar e sono partner dei sostenitori del generale. Noi, mancando un’azione comune di Nazioni Unite ed Europa, potremmo tornare ad essere promotori di un’iniziativa internazionale anche con il coinvolgimento francese. O si fa così oppure continuiamo ad aspettare alla finestra, ma questo non possiamo permettercelo”.

E poi c’è anche la questione, anche questa finita nel dimenticatoio, del consolato di Bengasi: “Lo chiedono gli stessi cittadini della Cirenaica – prosegue Michela Mercuri – Dovremmo aprire una sede diplomatica anche nell’est del paese, il consolato doveva essere operativo già ad aprile ma poi è saltato tutto ed ora non si sa molto sulle iniziative future. L’Italia è già presente nell’ovest della Libia, con una sede diretta dal bravo ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi ed è l’unica occidentale a Tripoli. Adesso dobbiamo fare la stessa iniziativa anche a Bengasi, è fondamentale per il nostro ruolo in Libia”.

Soltanto che, e qui si ritorna al nodo principale della questione, a livello politico tutto sembra fermo o comunque al momento non prioritario: si lavora a livello diplomatico, si continua ad operare sul campo ma la sensazione è quella di una lenta navigazione a vista, senza una precisa e decisa rotta da seguire. Una circostanza contro la quale occorre una netta inversione di tendenza. L’Italia non può operare in politica estera solo seguendo le emozioni del momento. Ed in Libia poi, tra le altre cose, ci si gioca una buona fetta di futuro per quanto riguarda la nostra presenza in Africa e nel Mediterraneo. Nessuno quindi, all’interno dei quadri politici – diplomatici, può permettersi distrazioni.