Controcultura

Non è un oltraggio all'arte se il Paradiso di Pistoletto diventa un inferno d'asfalto

Le pietre posate a Ventimiglia per i migranti potrebbero essere trasformate in un parcheggio

Non è un oltraggio all'arte se il Paradiso di Pistoletto diventa un inferno d'asfalto

Si può distruggere un'opera d'arte? No. Ci sono leggi che non lo consentono. Da qualche anno si discute non su cosa sia un'opera d'arte - tema estetico insidiosissimo, almeno a partire dall'Orinatoio (Fontana) di Marcel Duchamp del 1917 - ma quale sia il tempo che ne indica la dimensione storica, che intanto lo valorizza come documento. Gli oggetti, come le opere d'arte, appartengono a un'epoca e la testimoniano. Per le persone comuni, che non si interessano d'arte (almeno di quella chiamata contemporanea), è abbastanza semplice riconoscere le epoche dalla forma delle automobili e viceversa. Anche l'arte, rispetto ai tempi, in un certo senso, segue lo stesso schema. Si è in passato convenuto che il periodo di tempo che deve trascorrere perché un'opera sia considerata di interesse storico siano cinquant'anni. Una recente revisione, con aspetti positivi e aspetti negativi (pensiamo all'edilizia selvaggia degli anni Sessanta), ha portato il limite a settant'anni. Ma la cronologia non è l'unico criterio per attribuire valore d'arte a un'opera. L'altro, più pregnante, è il valore economico determinato dal mercato. La quotazione schiaccia e annulla il tempo. Come non considerare un'opera d'arte il coniglio d'acciaio di Jeff Koons, del 1986, venduto a 91 milioni di dollari?

Abbiamo quindi individuato due coordinate per definire un'opera d'arte contemporanea: il tempo e il valore economico. Ci sono però gli interessi del mercato che possono essere artificiosamente alterati attraverso un'altra variabile, la fama, in due direzioni: quella dell'artista e quella del mercante. La prima è personale. La seconda può essere (apparentemente) impersonale: il valore raggiunto da una vendita all'asta. Questo è il caso (sorprendente ed eccitante) dell'opera di Banksy, distrutta attraverso un divertentissimo meccanismo a orologeria che rende l'invenzione dell'artista e lo spazio della vendita una sola cosa. L'arte si fa, mentre è messa in vendita. Una variabile minore, in questo sistema, è la posizione (o la funzione) del critico, certamente utile per consolidare i valori (fu il caso memorabile dell'endorsement di Roberto Longhi in favore di Giorgio Morandi, nella prolusione al suo corso nell'anno accademico dell'Università di Bologna nel 1934); meno utile e determinante nel caso di una stroncatura. Diversamente dal passato, quello che appare inconsistente e non necessario è il giudizio del popolo (diverso dal pubblico ristretto e influenzabile dei collezionisti). Dopo il saggio sulla Fenomenologia di Mike Buongiorno di Umberto Eco, il momento più interessante di sociologia dell'arte, rispetto all'espansione incontrollata dei valori estetici, è certamente il film Vacanze intelligenti di Alberto Sordi, del 1978, momento di massima affermazione di una estetica dell'inappartenenza, almeno rispetto ai canoni tradizionali dell'arte, due anni prima del ritorno alla pittura solennemente celebrato con la mostra di Balthus alla Biennale di Venezia del 1980, voluta dal direttore dallo spirito più disponibile nei confronti dei mille volti dell'arte, Luigi Carluccio.

Qualcosa è cambiato da allora, ma non è stato sufficiente a riabilitare la dignità del giudizio dell'uomo qualunque, pur nel tempo della massima alfabetizzazione. Punte estreme di questa distanza incolmabile sono: la porta di Duchamp, dipinta di bianco da un operaio durante l'allestimento della mostra; e la distruzione della installazione di Goldschmied&Chiari Dove andiamo a ballare stasera ispirata alla vita notturna di Gianni De Michelis: apparendo esattamente come immondizia, le donne delle pulizie la eliminarono dal Museion di Bolzano. Dunque l'arte non è per le donne delle pulizie, ma per una élite di mercanti, collezionisti e una setta di invasati, convinti di capire solo loro, come la chiesa di Scientology.

E arriviamo a oggi: Michelangelo Pistoletto è certamente tra gli artisti di maggiore fama e migliore intelligenza usciti dal gruppo costituito più di cinquant'anni fa (1967), denominato «arte povera». Michelangelo è nato a Biella, e in questi giorni nella sua città è in corso una interessantissima mostra, su tre sedi: Padre e figlio. Ettore Pistoletto Olivero e Michelangelo Pistoletto. Sono quasi commoventi il riconoscimento e il dialogo fra il grande figlio e il padre che qui si celebra, ed è indiscutibile l'intuizione che, unica, supera lo spazio nuovo definito dai tagli di Lucio Fontana, dello specchio sul quale si stampa un'immagine della memoria ferma, e un'immagine del presente di chi guarda l'opera, in una continua proiezione verso il futuro di chi la guarderà. Michelangelo ha, oltre le avanguardie, catturato il tempo. Non per questo ogni cosa che fa deve essere considerata un capolavoro e, letteralmente, «intoccabile»... Come un profeta, nel 2003 Pistoletto ha inventato il Terzo Paradiso. Così lo spiega: «È la fusione fra il primo e il secondo paradiso. Il primo è quello in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura. Il secondo è il paradiso artificiale, sviluppato dall'intelligenza umana, fino alle dimensioni globali raggiunte oggi con la scienza e la tecnologia. Questo paradiso è fatto di bisogni artificiali, di prodotti artificiali, di comodità artificiali, di piaceri artificiali e di ogni altro genere di artificio. Il Terzo Paradiso è la terza fase dell'umanità, che si realizza nella connessione equilibrata tra l'artificio e la natura. Il simbolo del Terzo Paradiso, riconfigurazione del segno matematico dell'infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità».

Non ne è convinto il sindaco di Ventimiglia, uscito vincitore da una battaglia contro lo Stato che, con inaudita violenza, aveva sciolto il suo comune per mafia, per essere poi sconfessato dal Consiglio di Stato. Fra il commissariamento forzato e il ritorno del sindaco, Gaetano Scullino, oggi settantatreenne, e quindi esteticamente un po' più giovane di Pistoletto, un'amministrazione di centrosinistra, più facilmente incline alla retorica buonista, nel 2017 aveva chiesto a Pistoletto di montare la sua installazione Terzo Paradiso (evidentemente non pezzo unico) al confine di ponte San Ludovico, davanti alla scogliera che due anni prima, nel 2015, aveva ospitato la protesta dei migranti contro la chiusura del valico da parte dei francesi. Naturalmente Pistoletto, inaugurandola, aveva commentato: «Questo è un simbolo di pace, armonia e incontro in un luogo che è stato di scontro e divisione... questa non è soltanto la frontiera di Ventimiglia, è anche la frontiera del mondo. Invece di costruire muri, dobbiamo congiungere le varie parti». Quindi Pistoletto aveva fatto un discorso politico, sottratto alla canea dei contrasti in nome dell'arte. Un altro elemento dunque: il dogma dell'arte, la fama dell'artista, il politicamente corretto. Ma quelle pietre, in quello spazio, messe lì, sono un'opera d'arte? Sono uniche? E così le percepisce chi le guarda?

Il tema non riguarda solo Ventimiglia. È la storia antica delle vesti dell'imperatore, del bambino che lo vede nudo. L'intervento del sindaco è il ripristino di un giudizio libero, di una vox populi, come quello delle inservienti del museo di Bolzano. Non c'è dubbio che il nome di Pistoletto e la sua gloria diano un valore a quelle pietre; ma ci sono molti dubbi che qualcuno (fuori dalla cerchia degli scientologi dell'arte) lo riconosca. Non vale per il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto quello che vale per il Davide di Michelangelo. In questo caso l'intervento del sindaco di Ventimiglia non è contro Pistoletto, ma contro una concezione dell'arte contemporanea, obbligatoria e dogmatica. Il livello del sindaco è, essenzialmente, lo stesso del Pistoletto politico, come cittadino, non come artista. Il sindaco ha riproposto un suo progetto per quello spazio, precedente all'intervento (non unico, non irripetibile) di Pistoletto: un posteggio al posto delle pietre. Il sindaco non è un barbaro, è un uomo dal pensiero libero che non accetta l'arte come ricatto, in difesa di un'idea.

Così, olimpicamente, aggira la polemica con il metodo del dubbio: «Se è un'opera d'arte possiamo anche spostarla, magari a Calvo», una frazione di Ventimiglia dove tutto il popolo aspetta il Terzo Paradiso.

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