Dalla pioggia di missili su Tripoli, a quella vera su Ghat: la Libia che dal 4 aprile scorso convive con la guerra civile combattuta alle porte della sua capitale, subisce anche i danni delle calamità naturali occorse nel profondo sud del paese. A Ghat infatti, cittadina al confine con Algeria e Niger che ospita diversi libici di etnia tuareg, una serie di alluvioni provocano disagi e vittime ed appesantiscono una situazione già critica per via delle note vicende che coinvolgono il paese nordafricano.

Le alluvioni che mettono in ginocchio una parte del Fezzan

Territorio desertico, ma dove quando l’acqua arriva non manca di creare apprensione, l’estremità meridionale della Libia deve fare i conti con alcuni dei più importanti temporali occorsi negli ultimi anni. Piogge incessanti, che trasformano piccoli rigagnoli ai limiti del deserto in fiumi in piena capaci di travolgere improvvisamente villaggi ed oasi. Comunicazioni interrotte, strade distrutte, erogazione idrica ed energetica a singhiozzo, di fatto Ghat assieme al suo circondario ed alla sua municipalità appare in ginocchio.

Tutto inizia ai primi di giugno, quando gli abitanti di questo angolo di Libia fanno i conti con continue piogge che ben presto causano allagamenti ed alluvioni. Le immagini che arrivano da Ghat sono inusuali per un territorio che nell’immaginario collettivo rimanda al deserto: cittadini evacuati con barchini o zattere di fortuna, gente che prova a farsi strada tra vie e cortili trasformati in veri e propri fiumi. Così come riportato da SpecialeLibia.it, la municipalità di Ghat dichiara la possibile presenza di morti e dispersi a causa delle piene e richiede l’immediato aiuto da parte del resto del paese e non solo.

La guerra fa da sfondo alle alluvioni

Adesso la situazione sembra più sotto controllo, ma parlare di normalità è molto difficile. Del resto, a Ghat la vita quotidiana è molto dura da anni: qui si combatte poco, non si registrano dal 2011 in poi grossi scontri, ma è pur vero che è in questa parte della Libia che si ravvisano le maggiori conseguenze di un paese imploso dopo la caduta di Gheddafi. L’isolamento è ben presente nella quotidianità dei cittadini di Ghat già da prima delle alluvioni: raggiungere le altre regioni del Fezzan e della Libia è molto difficile, i collegamenti con la stessa Tripoli appaiono impervi, l’aeroporto cittadino funziona a singhiozzo e quello di Sebha (città più importante del sud della Libia) risulta operativo solo da pochi giorni. Le alluvioni danno dunque il colpo di grazia all’economia di questo angolo del Fezzan.

A Tripoli ed a Bengasi però, le maggiori fazioni in lotta in questo momento staccano per alcuni giorni lo sguardo dal fronte per proiettarlo verso Ghat. Sui social le immagini delle alluvioni colpiscono tutto il paese, cittadini ed associazioni mobilitano diverse risorse da spedire verso il sud della Libia. Medicinali e cibo vengono imbarcati a Bengasi ed a Tripoli per farli arrivare nelle zone colpite dai disastri. In ogni guerra la propaganda vuole il suo spazio e quando si verifica una calamità, le parti in causa danno vita ad una sorta di “guerra nella guerra” per dimostrare la propria attenzione verso la popolazione.

I principali gruppi in lotta in questo momento, assieme con le rispettive fazioni, raccolgono generi di prima necessità e per la prima volta dopo due mesi, da quando cioè inizia la battaglia per Tripoli, guardano più a Ghat che al fronte fermo da settimane a 25 km dalla capitale. L’esercito di Haftar, presente nelle zone limitrofe dopo le avanzate del generale a gennaio, così come le autorità vicine al governo di Al Sarraj, provano ad organizzare come possono i soccorsi.

Ma la situazione rimane attualmente, come detto, ben lontana dalla normalità ed i cittadini chiedono una maggiore attenzione verso queste regioni. L’alluvione quindi distrae dalla guerra militare ma non da quella mediatica, che sposta semplicemente i riflettori verso il Fezzan. Un altro episodio che serve a raccontare la Libia di questi mesi e di questi anni, una paese alla continua ricerca di normalità che al tempo stesso pare essersi abituati ad uno stato di guerra perenne.