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"La bandiera mai ai bianchi". Gli aborigeni sono in rivolta

L'artista che l'ha ideata nel 1971, ne ha ceduto i diritti esclusivi. Gli indigeni non ci stanno: «La compri lo Stato»

"La bandiera mai ai bianchi". Gli aborigeni sono in rivolta

Da un lato c'è il desiderio di togliere un simbolo nazionale da mani private. Dall'altro quello di evitare che venga poi sfruttato a fini commerciali. Al centro della disputa che sta facendo discutere l'Australia c'è la bandiera aborigena. Il caso è un unicum: essendo stata disegnata da un artista - Harold Thomas, esponente della comunità indigena Luritja, che ha casa nel deserto dell'Australia occidentale - non può essere riprodotta liberamente, perché coperta da copyright. Nonostante goda delle stesse tutele delle altre bandiere ufficiali del Paese, per poterla utilizzare serve il via libera dell'autore che la elaborò nel 1971. E che, per legge, ne deterrà i diritti fino alla sua morte, quando passeranno per altri settant'anni ai suoi eredi. Come è comprensibile, negli anni la bandiera è comparsa su capi di abbigliamento, oggetti, gadget. Ma, essendo coperta da diritto d'autore, si sono aperte altrettante dispute legali tra l'ideatore e chi l'ha utilizzata senza permesso. Tanto che ora esperti di copyright sostengono che a intervenire dovrebbe essere il governo australiano, che potrebbe acquistare diritti dell'immagine per liberalizzarne l'utilizzo e far cessare ogni contesa.

Harold Thomas ha rivendicato la paternità della bandiera negli anni Novanta, quando riuscì a dimostrare di essere stato lui a inventarsi lo stendardo nero (dal colore della pelle degli aborigeni), rosso (dalla terra su cui camminano) e giallo (come il sole). Lo fece in tribunale, dopo che altri artisti si erano fatti avanti sostenendo di esserne loro gli autori. È da allora, da quel riconoscimento ufficiale nel 1997, che prosegue il dibattito sulla liceità o meno di avere una bandiera «a proprietà privata». L'unica società in possesso dei diritti esclusivi e internazionali a utilizzarla sui propri capi è la firma Wam Clothing. Nei giorni scorsi la questione è tornata in auge dopo che Thomas ha inviato diffide a diverse aziende chiedendo formalmente di smetterla di sfruttare lo stendardo aborigeno. Tra le società che hanno ricevuto la notifica c'è anche la Australian Football League, la lega professionistica di football australiano, che utilizza la bandiera sulle divise dei giocatori. La stessa diffida è stata recapitata ad alcune aziende di proprietà di aborigeni: tra queste c'è la Spark Health, che produce abbigliamento e merchandising con il brand «Clothing the Gap». «Siamo arrabbiati per il fatto che una compagnia bianca abbia ottenuto la licenza esclusiva dell'utilizzo della bandiera e che sia lei a trarne profitto», hanno protestato i rappresentanti della Spark Health, sottolineando che loro non sfruttano l'immagine per realizzare profitti «ma per celebrare la nostra identità e indossare la nostra cultura con orgoglio».

Tra diffide e ricorsi la materia si sta facendo piuttosto intricata. Per questo è intervenuta sui media Fiona Phillips, parlamentare, avvocatessa ed ex numero uno del Consiglio australiano del copyright, no-profit locale specializzata in diritto d'autore. Secondo Phillips, lo status dello stendardo aborigeno è un'anomalia che richiede una «regolamentazione di tipo pubblico». «Non si tratta soltanto di un lavoro artistico, è un simbolo nazionale particolarmente importante per gli indigeni australiani», ha spiegato al quotidiano britannico The Guardian. Secondo Phillips l'esecutivo di Canberra potrebbe obbligare l'artista a vendergli il copyright dietro adeguato compenso. La bandiera diventerebbe di proprietà dello Stato, che la renderebbe di pubblico dominio. E chiunque potrebbe riprodurla.

Con o senza il consenso dell'autore.

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