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Mazzoleni, il tumore e gli arbitri umani

Mazzoleni, il tumore e gli arbitri umani

Naturalmente la notizia più forte e mediatica è che l'arbitro bergamasco Paolo Silvio Mazzoleni, 45 anni, che ha appena concluso la sua carriera in maglietta verdolina (una volta avremmo detto giacchetta nera), ha confessato di aver sconfitto un cancro nel 2012, arbitrando fino al giorno prima di entrare all'Istituto dei Tumori. Lo spinse a non fermarsi sua moglie Daiana e la scelta di vita è stata allietata dalla nascita di Riccardo. E' la notizia più forte e vogliamo sentire questo, per lui e anche per noi, per la speranza di battere il male più terribile, sempre annidato nell'ombra. Personalmente, però, il particolare della sua autobiografia, La mia regola 18 scritta con Giorgio Burreddu e Alessandra Giardini (Absolutely Free), che mi ha colpito di più, è che Mazzoleni ha 45 tatuaggi e che si vuole tatuare le 210 partite di serie A dirette. Il secondo aspetto è che il libro lo ha presentato all'oratorio di Colognola, sul campetto dove gli è nata la passione per l'arbitraggio.

Ogni volta che parla un arbitro, è che non risulta come ce lo immaginiamo, come lo descriviamo, cioè una divinità distante, crudele e irraggiungibile. Più di un dio dell'Olimpo, perché non ne conosciamo neanche il mito, non sappiamo quasi niente di lui. Si tratta di una specie di monaco, con moglie e figli ma chiuso in una specie di abbazia che racchiude più segreti di quella del Nome della Rosa. Per noi, dirigenti, allenatori, calciatori, tifosi, giornalisti, l'arbitro è un nemico e ci stupiamo, restiamo colpiti quando scopriamo che dietro il fischietto c'è un uomo. Un uomo da cui noi pretendiamo non che arbitri il giusto, ma che lo faccia a nostro favore. L'arbitro è l'unico degli attori di questo spettacolo a cui partecipano non solo quelli sul palco-prato, ma anche tutti gli altri, da cui pretendiamo non solo che non sbagli, ma che se sbaglia sia a nostro favore.

Mazzoleni, intervistato da Massimiliano Nebuloni su Sky, ha pronunciato una frase che dovrebbe essere scritta sul risvolto delle magliette pisello e mandata a memoria da tutti: «Forse non verrò ricordato come un grande arbitro, ma come una persona onesta sì». Un arbitro non è un dio distante e tiranno, è un uomo. Dobbiamo chiedergli l'onestà, non la perfezione.

Come non dovremmo chiederla a nessuno.

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