Non accenna a rientrare la situazione in Moldavia, lì dove oramai da giorni si assiste ad una grave crisi istituzionale dovuta alla decisione della Corte Costituzionale di rimuovere il presidente Igor Dodon, eletto nel 2016 ed in carica da quell’anno. Contestualmente, è stato anche invalidato il decreto di nomina del nuovo esecutivo, varato a quattro mesi dalle elezioni di febbraio, guidato da Maia Sandu. Adesso a Chisinau ci sono due presidenti che non si riconoscono a vicenda, con due rispettivi esecutivi da loro sostenuti: quello, per l’appunto, guidato da Maia Sandu e quello uscente guidato da Pavel Filip, che nel frattempo la Corte Costituzionale nomina quale presidente ad interim.

L’alleanza trasversale a sostegno di Dodon

Tutto nasce quando lo scorso 8 giugno a Chisinau viene annunciata la nascita di un nuovo governo, che vede un’inedita alleanza tra il Partito Socialista di Dodon e la coalizione filo europeista di Sandu. I due nel 2016 sono diretti rivali nella corsa alla presidenza, il distacco finale a favore di Dodon è di appena 80.000 voti. Non solo: i due schieramenti da loro rappresentati, hanno distinte visioni sul futuro della Moldavia. Dodon viene considerato filo russo, Maia Sandu invece è favorevole ad un’integrazione verso occidente e l’Europa. Nelle ultime legislative, i due partiti si contendono a febbraio anche la maggioranza in parlamento: a spuntarla sono ancora una volta i socialisti, che però non hanno la forza per formare da soli un esecutivo. Se la coalizione della Sandu è seconda, al terzo posto si piazza il Partito Democratico del premier uscente Filip, il cui vero leader è però l’oligarca Vlad Plahotniuc. Ed è proprio per allontanare il mal visto “patron” del Partito Democratico che Dodon e Sandu trovano l’accordo, con quest’ultima chiamata a guidare l’esecutivo.

Ma quanto accade in seguito all’annuncio è storia già accennata all’inizio: la Corte Costituzionale, accusata di essere vicina a Plahotniuc, sostiene che la nomina del nuovo esecutivo è fuori tempo massimo, sospende Dodon dalla presidenza dando le funzioni a Filip e quest’ultimo scioglie il parlamento fissando elezioni a settembre. Dunque, ad emergere è un tentativo volto a frenare l’alleanza trasversale anti Plahotniuc. Ma ad essere trasversale è anche il sostegno che all’esecutivo di Sandu arriva dall’estero. Sia la Russia che diversi paesi dell’Ue, riconoscono il governo nominato da Dodon. Da Mosca come da Bruxelles, passando per Londra, è un coro trasversale e pressoché unanime a favore sia della Sandu che del parlamento attualmente in carica. La comunità internazionale dunque, compresi gli Stati Uniti, danno ragione a Dodon ed all’esito del voto uscito fuori dalle legislative di febbraio.

Bucarest: “Situazione molto grave, occorre intervento Ue”

A farsi sentire intanto è anche il presidente rumeno Klaus Iohannis: la sua non è certo una voce come un’altra nel contesto moldavo. La Romania non è soltanto un paese confinante con la Moldavia, in qualche modo rappresenta il “fratello maggiore” dell’ex repubblica sovietica. Il rumeno è la lingua ufficiale a Chisinau, la cultura e la tradizione rumena sono molto influenti, diversi sono gli elementi che accomunano i due paesi. Per questo quando affermato dai rappresentanti delle istituzioni di Bucarest non va affatto preso sottogamba: “Una simile crisi nell’immediata prossimità della Romania e dell’Ue rappresenta una posta in gioco per la stabilità e la sicurezza regionale che l’Ue e gli Stati vicini non possono trascurare”, dichiara Iohannis.

Secondo il capo di Stato rumeno, è necessario quindi che ad intervenire con una voce unica sia Bruxelles: “La Romania – prosegue Iohannis –  in quanto Stato membro dell’Unione europea, con una relazione speciale con la Moldova, basata sul partenariato strategico per l’integrazione europea e sulla condivisione di un linguaggio, una storia e una cultura comuni, è preoccupata per gli sviluppi in corso a Chisinau”. Parole, quelle dette dal massimo rappresentante di Bucarest, che appaiono quindi come ulteriore testimonianza della gravità della crisi attualmente in corso in Moldavia.