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Buffon è all'ultimo bivio tra l'eredità di Casillas e l'addio da numero uno

L'ex portiere del Psg «parla» con il Porto, dove parava lo spagnolo fino a prima dell'infarto

Buffon è all'ultimo bivio tra l'eredità di Casillas e l'addio da numero uno

L'addio dei campioni è lungo per definizione. Un fuoriclasse vuole giocare, ma soprattutto sentirsi vivo. E non c'è uomo vitale come Gigi Buffon che, a 41 anni computi a gennaio, cioè già sulla strada dei 42, non ha intenzione di mollare. La sua avventura, cominciata tra le stelle filanti dello stadio Tardini - quel giorno del 1995, un Parma-Milan, il portiere rossonero Seba Rossi venne bersagliato con decine di rotoli di carta igienica - non è finita a Parigi, in quella specie di ingovernabile kinderheim messo su con i danari degli emiri del Qatar. Molti club italiani, non di prima fascia, gli hanno offerto le chiavi delle loro porte, giustamente convinti che uno come lui potesse non solo essere una garanzia tra i pali ma risultare una forte presenza mediatica. Maurizio Setti, padrone del Verona, lo ha confessato.

Ma Gigi pensa di poter ancora difendere gli interessi di una big, di una squadra che giocherà in Champions. Per ora è in vacanza con Ilaria D'Amico, ma presto dal mare traslocherà in una delle destinazioni che gli sono state accostate. Quella giusta.

Tra i tanti approdi possibili c'è il Porto, secondo in Portogallo e destinato al preliminare di Champions League, come l'Ajax, tornado bianco che così tanto ha impressionato nell'ultima competizione. I Dragoni, tra l'altro offrirebbero a Buffon uno strano incrocio del destino. Con la stessa maglia, fino a pochi mesi fa, c'era Iker Casillas uno dei colleghi che ha conteso a Gigi, per un certo periodo, il titolo di migliore del suo tempo. Anche lui un resistente, fermato da un infarto silenzioso qualche mese fa.

Nei confronti dei grandi campioni nutriamo un atteggiamento scostante. Da un lato non vorremmo mai vederli andare via, dall'altro non sopportiamo che invecchino, diventiamo spietati di fronte alle loro debolezze. «Vorrei però ricordarti com'eri» dice il verso di una canzone di Francesco Guccini. Com'eri, non come sei adesso. Perché è logico che a 42 anni non sei più come un ragazzo di 20. Magari sei ancora meglio di tanti altri, di tanti portieri-difensori-centrocampisti-attaccanti, anche più giovani, ma non sei più quello di un tempo. Dei campioni ammiriamo l'ostinazione a non mollare, ma in fondo siamo contenti che se ne vadano, che lascino spazio ai più giovani a patto che questi continuino a vincere seguendo la strada dei loro predecessori.

Non capiamo che uno come Gigi Buffon, a quasi 42 anni non lasci. Non è solo per vincere la Champions (magari sì, perché no?), la sua principale ragione per continuare è che vuole ancora sfidarsi, mettersi in gioco. Ed è convinto di averne i mezzi. Per noi contano i risultati, per Gigi Buffon e per altri come lui la convinzione di poterli raggiungere. Non sentirsi un ex è una percezione personale, non la possiamo determinare noi. Lo può sentire solo lui.

E allora, provaci ancora Gigi.

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