Torna a parlare il generale Khalifa Haftar, numero uno dell’Lna, ossia il Libyan National Army con il quale dallo scorso 4 aprile risulta impegnato per la conquista di Tripoli. Una guerra, quella avviata dall’uomo forte della Cirenaica, entrata già da diverse settimane in una vera e propria fase di stallo che però, almeno leggendo proprio le parole di Haftar rilasciate in un’intervista su Al Marsad, non sembra presagire ad un imminente cessate il fuoco.

“Andremo avanti fino allo scioglimento delle milizie di Tripoli”

Il passaggio principale dell’intervista del generale della Cirenaica, riguarda le intenzioni future sotto il profilo militare. Niente stop dei combattimenti, nessun passo indietro lungo la linea del fronte: “L’azione dell’esercito – dichiara il generale dall’interno del suo compound di Bengasi – Andrà avanti fino all’ottenimento dei nostri obiettivi”. E gli intenti finali di Haftar riguardano soprattutto lo scioglimento delle milizie vicine al governo di Al Sarraj, il premier in carica dagli accordi di Skhirat del 2016. Quest’ultimo non ha, come si sa, un vero e proprio esercito al suo fianco bensì una serie di gruppi provenienti soprattutto dalla città di Misurata.

Secondo Haftar, Tripoli è controllata da queste milizie le quali manterrebbero di fatto in ostaggio sia la popolazione che lo stesso Al Sarraj. Dunque, nel ribadire la propria posizione, il leader dell’Lna torna sulla narrazione della prima ora che riguarda la sua azione su Tripoli e cioè che, dallo scorso 4 aprile, ad essere in atto altro non è che un’operazione anti terrorismo. Haftar quindi non cede riguardo sia la linea politica che militare: in entrambi i casi, le affermazioni delle scorse ore coincidono con quelle dei giorni immediatamente successivi all’inizio dell’attacco su Tripoli.

“Scioglieremo l’attuale governo e creeremo una costituente”

Un altro importante passaggio nell’intervista rilasciata dal generale Haftar, riguarda il governo di Tripoli in un eventuale suo ingresso nella capitale libica: “Scioglieremo questo esecutivo – si legge tra le sue dichiarazioni – Formeremo un nuovo governo che risponda alle più immediate esigenze dei cittadini”. Ma non solo: il generale va oltre e parla della formazione di una nuova costituente, in grado di dare vita ad una legge elettorale in primis e, in un secondo momento, di iniziare l’unificazione delle istituzioni libiche. Si tratta di frasi importanti, che vanno a chiudere almeno per il momento ogni possibilità di dialogo con Al Sarraj e di prosecuzione di quanto stabilito nei vertici di Palermo ed Abu Dhabi. Negli incontri sopra citati, la diplomazia concorda grossomodo in una sorta di spartizione del potere, dove Al Sarraj viene riconfermato quale leader politico mentre si dona ad Haftar il ruolo di unica guida militare.

Se da un lato è vero che la guerra iniziata il 4 aprile pone un solco impossibile da sanare tra le parti, dall’altro lato è la prima volta che Haftar manda in soffitta ogni ipotesi di ripresa degli accordi raggiunti dalla diplomazia nei mesi antecedenti alla sua offensiva militare su Tripoli. Anzi, nel corso dell’intervista il generale promette di superare definitivamente anche lo stesso modello uscito da Skhirat: “Le istituzioni nate dagli accordi presi in Marocco tra il 2015 ed il 2016 – dichiara Haftar – Saranno superate. La nuova costituente andrà a rimpiazzare il parlamento ed il nuovo governo prenderà il posto del consiglio presidenziale”.

La situazione sul campo

Le parole di Haftar però devono fare i conti con quella che è la situazione lungo la linea del fronte a 25 km a sud di Tripoli, lì dove da aprile sono ferme le truppe dell’Lna. A livello militare, come detto ad inizio articolo, vige un sostanziale stallo che però non si traduce in un decremento dell’intensità del conflitto. Al contrario, come dimostra l’episodio riguardante il bombardamento di un magazzino della Noc e dell’Eni nel quartiere di Tajoura, la guerra continua ed ogni giorno si registrano raid e bombardamenti da una parte e dell’altra. Ma il fronte non si smuove, al pari di una diplomazia che non prende il sopravvento.

L’impressione è che lo stallo, e con esso la guerra, è destinato a durare ancora a lungo e che, all’orizzonte, non si intravedano possibilità di una ripresa del dialogo.