L’immigrazione dalla Libia coinvolge da vicino il nostro Paese: la rotta libica infatti, porta lungo le coste italiane buona parte dei migranti che arrivano in Italia. La tratta riguarda soprattutto cittadini dell’Africa sub sahariana e del corno d’Africa, mentre sono storicamente molto pochi i cittadini libici che mirano a raggiungere l’Italia.

L’inizio del fenomeno migratorio dalla Libia

La rotta libica inizia ad essere molto frequentata dai migranti intorno alla metà degli anni Novanta. Prima di allora, il numero di persone sbarcate in Italia dalla Libia appare molto ridotto. In realtà, sul fronte dell’immigrazione, a destare maggiore preoccupazione all’epoca è la tratta albanese: nel 1997 in particolare, il caos in Albania porta centinaia di cittadini di quel paese balcanico in Italia.

I primi viaggi della speranza che solcano dalla Libia vedono l’utilizzo di barchini di legno di fortuna e, il più delle volte, culminano in sbarchi a Lampedusa.

L’immigrazione durante la Libia di Gheddafi

Il fenomeno migratorio dalla Libia inizia ad avere dimensioni importanti nel 2002: quell’anno, complice la destabilizzazione del corno d’Africa e l’apertura di corridoi attraverso il Sahara nel sud della Libia, sono centinaia coloro che raggiungono il paese retto in quel periodo storico dal rais Muhammar Gheddafi.

Ma occorrono fare dei distinguo: se da un lato aumenta il numero di migranti presenti in Libia, dall’altro non si assiste ad una decisa impennata di sbarchi verso l’Italia. Pur tuttavia, da questo punto di vista la strada sembra aperta. Se prima infatti si contano poche decine di sbarchi all’anno, dal 2002 in poi il numero è di decine al mese soprattutto durante la stagione estiva.

Un altro fattore che porta numerosi migranti in Libia, è l’uscita del paese di Gheddafi dal limbo delle sanzioni internazionali. Questo fatto avviene, in una prima tranche, nel 1999 e viene poi certificato con l’abbandono del programma nucleare da parte del rais nel 2004. Sono circostanze politiche sbloccano investimenti in Libia per miliardi di Dollari, dove Gheddafi riesce ad investire gli ingenti proventi del petrolio.

La Libia diventa un cantiere a cielo aperto e ad alimentare l’economia è la manodopera proveniente dai paesi africani limitrofi. In questi anni, Tripoli è una sorta di hub africano a cui migliaia di cittadini del continente nero guardano come speranza per un futuro lontano dai propri paesi poveri o in guerra.

Ma tra le migliaia che arrivano in Libia, ci sono anche gruppi che spingono per andare in Europa ed in Italia in particolar modo. Alcune organizzazioni criminali, fiutando l’affare dell’immigrazione illegale, iniziano ad organizzare sempre più traversate del Mediterraneo centrale. Il boom in questo decennio si registra nel 2008, quando in Italia arrivano dalla Libia circa 38mila migranti africani. Una situazione che inizia a generare nel nostro Paese un certo allarme di natura sociale.

Mappa di Alberto Bellotto

Il ruolo del trattato di amicizia italo – libico

Ma il 2008 è anche l’anno del cosiddetto “Trattato di amicizia italo-libico”: si tratta di un grande accordo su diversi strategici settori che segna il superamento delle tensioni dovute al periodo coloniale. Siglato a Bengasi con le firme del presidente del consiglio Silvio Berlusconi per l’Italia e di Muhammar Gheddafi per la Libia, il documento tocca anche la spinosa questione dell’immigrazione.

Roma, in particolare, si impegna a versare cinque miliardi di euro all’anno per vent’anni alla Libia come risarcimento del periodo coloniale. In cambio, tra le promesse che Tripoli si impegna a mantenere, vi è anche quella riguardante il contrasto alle organizzazioni criminali che gestiscono la rotta libica dell’immigrazione.

Ed in effetti già nel 2009 gli sbarchi in Italia appaiono calati del 90% rispetto al 2008: questo perché le autorità libiche arrestano scafisti e boss dei gruppi criminali, così come smantellano le fabbriche dei barchini di legno disseminate lungo la costa ed iniziano una sorveglianza costante dei porti da cui partono la gran parte dei viaggi della speranza. La guardia costiera libica viene inoltre armata ed equipaggiata grazie a numerosi investimenti da parte italiana, anch’essi previsti dal trattato di amicizia. Il pattugliamento del mare in questa porzione del Mediterraneo centrale appare costante.

La fine dell’era di Gheddafi e le conseguenze sull’immigrazione

Una situazione che però dura il breve volgere di due anni. All’inizio del 2011 infatti, il mondo arabo viene sconvolto da un’ondata di proteste in molti paesi che ben presto coinvolge anche la stessa Libia specie dopo la caduta dei governi di Ben Ali in Tunisia e Hosni Mubarack in Egitto.

Le istituzioni libiche appaiono quindi fragili ed in difficoltà ed iniziano a non poter più far fronte agli impegni presi con l’Italia. Per di più, quando soprattutto da Francia e Gran Bretagna si profila la spinta verso un intervento armato contro Gheddafi, il rais prova a sfruttare l’immigrazione come arma di pressione politica verso l’Europa. Una tattica che si accentua quando l’Italia si accoda alle velleità belliche di Parigi e Londra.

In Tripolitania le autorità libiche liberano molti degli arrestati negli anni precedenti, promettendo loro un lavoro ed in tal modo assoldando ex boss della tratta libica che tornano ad immettere barchini nel Mediterraneo. La situazione precipita con la sconfitta militare di Gheddafi ad opera dei cosiddetti “ribelli” e la morte del rais, avvenuta nell’ottobre del 2011. Da quel momento in poi, a Tripoli non siederà più alcuna autorità in grado di affrontare in modo strutturale il problema dell’immigrazione.

Le tratte che portano i migranti in Libia

Fin qui dunque la storia della tratta libica, dalle sue prime manifestazioni per via dei primi sbarchi negli anni Novanta fino all’impennata di approdi dovuta alla caduta di Gheddafi. Ma quali sono le rotte che contraddistinguono la tratta che porta centinaia di migranti dalla Libia all’Italia?

La prima e più importante, riguarda l’Africa occidentale sub sahariana. Da qui verso la Libia arrivano i migranti provenienti dai paesi dell’Ecowas, ossia l’unione economico – doganale tra Stati sia francofoni che anglofoni che compongono gran parte di questa regione del continente nero. Nigeria in primis, ma anche Mali, Burkina Faso, Senegal, Costa d’Avorio, Liberia ed altri paesi della regione che fanno parte di questa organizzazione vedono, anno dopo anno, accrescere il numero dei propri cittadini che si dirigono verso la Libia per provare a partire in direzione Europa.

Mappa di Alberto Bellotto

Facendo parte dell’Ecowas, da questi paesi raggiungere il Niger è molto semplice: non esistendo grossi controlli doganali, si può giungere a Niamey, la capitale del Niger, senza molte difficoltà. Da qui poi, si risale verso il nord di questo paese per raggiungere il confine con la Libia. Da qui in poi entrano in gioco le organizzazioni criminali operanti nel paese nordafricano.

Un’altra tratta molto attiva riguarda il corno d’Africa. Si parte da Eritrea, paese con molte difficoltà economiche, e dalla Somalia che, a partire dal 1993, risulta come un vero e proprio “Stato fallito”. Dal corno d’Africa si giunge quindi in Sudan, Paese che confina con la parte più meridionale della Cirenaica. Ed è lungo questi confini desertici con la Libia che avviene il passaggio dei migranti nel paese nordafricano.

Infine, pur se meno frequentata, un’altra rotta importante che riguarda la Libia è quella orientale: numerosi migranti partono dal medio oriente per giungere in Egitto e, da qui, percorrere tutta la costa della Cirenaica per giungere poi nei porti di partenza delle città della Tripolitania.

Le città protagoniste della rotta libica

Gran parte delle partenze dalla Libia avvengono dalla Tripolitania e, in particolare, lungo un fascia che va dal confine tunisino fino alla cittadina di Al Khums, a 50 km ad est di Tripoli. Dalla Cirenaica invece le partenze appaiono storicamente molto più ridotte e questo per un fattore prettamente geografico. Le località sopra citate infatti, si trovano a circa 300 km da Lampedusa ed in una posizione che permette a molti barconi di imboccare la via verso il canale di Sicilia.

Ma la rotta libica non ha nella Tripolitania l’unica regione dove si sviluppano gli affari delle associazioni criminali. Tutto parte, in primis, dal confine con il Niger: qui, come detto in precedenza, entrano in azione i gruppi che prendono in consegna i migranti che risalgono dall’Africa sub sahariana. In questa fase i gruppi sfruttano le esperienze dei carovanieri del deserto per risalire lungo la regione impervia del Fezzan. La prima tappa riguarda la città di Sebha. Si tratta del capoluogo della regione più a sud della Libia: qui convergono tutti i vari gruppi che arrivano dal Niger.

Diverse associazioni criminali hanno in questa città campi e strutture dove, avvalendosi anche di gruppi locali, avviene una sorta di primo smistamento dei migranti diretti verso la costa. Successivamente, la marcia prosegue sempre nel deserto fino a giungere nell’entroterra della Tripolitania. Qui hanno sede diversi campi gestiti dalle stesse associazioni criminali ed è proprio all’interno di questi spazi che avvengono gli orrori documentati nel corso degli ultimi anni. A gestire questa fase della rotta libica, sono il più delle volte gruppi non libici: bande collegate alla mafia nigeriana, interessate soprattutto alla tratta della prostituzione, mercenari provenienti da altri paesi africani sono i principali protagonisti della risalita verso la costa.

Dopo aver aspettato anche per mesi, i migranti raggiungono quindi le località portuali da cui materialmente partono i barconi. Zuwara fino al 2015 risulta essere la cittadina in cui i gruppi criminali che gestiscono l’immigrazione appaiono più radicati. Successivamente gran parte delle partenze avviene da Sabratha, cittadina storica ad ovest di Tripoli e non lontana dal confine tunisino. Ad est della capitale libica invece, vengono utilizzati soprattutto i porti di Garabulli ed Al Khums. Si calcola che, in queste ultime località, l’indotto dell’immigrazione clandestina coinvolge la metà della popolazione e rappresenta la più importante attività economica.

In Cirenaica invece, le rotte che arrivano dal corno d’Africa sfruttano soprattutto la provincia meridionale di Al Kufra e la città costiera di Adgabiya.

Il naufragio del 3 ottobre 2013

L’impennata degli sbarchi, dal 2011 in poi, non si attenua. La caduta di Gheddafi lascia mano libera a molti gruppi criminali che vedono nell’immigrazione l’unica grande fonte di reddito. A gestire le partenze dalle coste sono scafisti spesso del luogo, collegati a gruppi o tribù che sfruttano i proventi della tratta libica per imporre il proprio dominio in un determinato territorio.

In questo contesto, a riportare sotto la luce dei riflettori il fenomeno migratorio è senza dubbio la strage del 3 ottobre 2013 avvenuta dinnanzi le coste di Lampedusa. Un barcone, con più di 400 migranti a bordo, si ribalta a poche miglia dall’isola più grande delle Pelagie a causa di un incendio scoppiato a bordo che scatena il panico tra i migranti. Le vittime sono 366, una tragedia considerata tra le più gravi dell’immigrazione. I morti risultano in gran parte di origine eritrea.

L’episodio viene considerato spartiacque in quanto, come descritto in un articolo di Limes, l’Italia inizia a muoversi da sola sul fronte libico e nel contrasto all’immigrazione, dato soprattutto l’immobilismo dell’Unione europea.

L’emergenza del 2017

Ma negli anni il problema non lo si riesce ad affrontare: la Libia rimane senza Stato ed in balia delle milizie, l’Italia continua a vedere crescere il numero degli sbarchi lungo le proprie coste. Vengono avviate le missioni Frontex e Sophia in sinergia con l’Ue, ma il fenomeno migratorio non si attenua. Si assiste a nuovi record di approdi anche con i governi di Letta (il cui esecutivo è in carica durante la strage di Lampedusa) e di Matteo Renzi. Anche perché nel frattempo in Libia si assiste all’emersione dell’Isis, il quale per alcuni mesi controlla nel 2015 la località di Sabratha e prova ad avere sempre più introiti dall’immigrazione.

L’apice però lo si tocca nel 2017: la continua destabilizzazione della Libia fa sì che i gruppi criminali e le milizie impegnate nella tratta dei migranti prendano sempre più potere lungo la costa traghettando migliaia di persone verso la Sicilia. Si assiste anche all’ingresso nel Mediterraneo di numerose navi di organizzazioni non governative, le quali vanno a prendere i migranti in prossimità della costa libica per farli poi sbarcare in Italia.

Per mettere un freno a questa situazione, il ministro dell’interno del governo Gentiloni, Marco Minniti, si muove sul fronte libico in chiave anche diplomatica: dopo aver mediato un accordo con le tribù libiche del sud della Libia volto a migliorare il controllo dei confini con il Niger, nel mese di agosto del 2017 sigla un accordo con il governo di Al Sarraj in cui in cambio di soldi e potenziamento della guardia costiera Tripoli si impegna al controllo delle coste. Un accordo non molto diverso rispetto a quanto previsto, su questo fronte, dal trattato di amicizia del 2008.

Il trattato con Al Sarraj riceve alcune critiche a seguito di reportage della Reuters secondo cui, di fatto, in realtà i soldi italiani finirebbero dentro le tasche delle milizie che controllano il traffico di migranti. Appare certo comunque che, anche all’interno del contesto libico, la “torta” relativa ai proventi dell’immigrazione verso l’Italia fa gola a molti gruppi e causa frizioni tra le milizie che controllano la costa.

La situazione attuale

Dopo i picchi del 2017, tra il 2018 e l’inizio del 2019 si assiste ad un calo complessivo intorno al 90% degli sbarchi lungo la tratta libica. Ad influire sono i maggiori controlli attuati dalla Guardia Costiera libica, che riesce in diverse occasione a bloccare i barconi quando si trovano ancora all’interno delle proprie acque internazionali.

Risulta variato anche il contesto politico italiano, con l’insediamento del governo “gialloverde” di Giuseppe Conte ed in cui al ministero dell’interno siede il leader della Lega Matteo Salvini. Il nuovo esecutivo ingaggia in più occasioni un braccio di ferro con le navi delle ong che vogliono sbarcare in Italia.

A giugno del 2019, a preoccupare maggiormente è la guerra in corso a Tripoli tra le milizie di Al Sarraj e l’esercito del generale Khalifa Haftar. Il bel tempo una volta entrata la bella stagione inoltre, sta favorendo la partenza di diversi migranti dai porti della Tripolitania.