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Il muro che beffa la Grande Guerra

Il muro che beffa la Grande Guerra

Un muro. Nessuno sa ancora bene come sarà. È tutto da immaginare. Non è detto che sia in cemento. Non sarà colorato. Non ci saranno i sacchi di sabbia, ma non si esclude il filo spinato. È un muro di confine, 243 chilometri come una cicatrice che scorrerà tra l'Italia e la Slovenia. A guardarlo così da lontano, ipotetico e fatto solo di parole, sembra quasi la beffa della storia, che ogni tanto ritorna, sotto forme diverse, con altre paure, magari cento e più anni dopo, sulle stesse terre. Lì dove c'erano le trincee, domani ci potrebbe essere un muro.

Il muro è quello suggerito da Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli Venezia Giulia. È un'idea presa in prestito da Matteo Salvini. Tutti e due adesso in realtà ci stanno un po' ripensando. Il muro è una provocazione. Nessuno vorrebbe davvero farlo, ma se l'Europa continua a dormire e non trova una politica sull'immigrazione, ogni Stato finirà per farsi il suo «muraccio» di sbarramento. «Non possiamo - dice Fedriga - mettere poliziotti a ogni metro». Non c'è solo il Mediterraneo. Non c'è solo il mare. C'è anche la terra e una frontiera dove dall'inizio dell'anno sono passati 888 migranti. Buona parte rispediti in Slovenia. Tutti con nessuna voglia di restare in Italia, ma diretti in Austria e Germania. Solo che il muro toccherebbe a noi.

È beffarda la storia. Negli anni '10 del vecchio secolo, il sempre più smarrito Novecento, dal maestoso Rombon fino alla foce dell'Isonzo, giù nel golfo di Trieste, c'era un fronte maledetto, dove si moriva come foglie al vento, e per quattro lunghi anni si giocava a dadi con la morte, guardandola in faccia ogni mattina, e contando al tuo fianco chi non c'era più, senza sapere se il giorno dopo sarebbe toccato a te stare nella lista di chi non era sopravvissuto. Quel fronte lungo più di 600 chilometri era profondo pochi metri. Non era un muro. Non era di cemento, ma di filo spinato. A pochi passi di distanza c'era il nemico. Faccia a faccia. A tiro di pallottola. Sotto l'ombra dei mortai e quando suonava l'attacco si correva puntando la baionetta, la sua pancia contro la tua. Era la trincea. La trincea come simbolo tattico della Grande Guerra. La trincea come mappa della strada che porta all'inferno. Nessuno la voleva, ma l'Europa non riusciva a mettersi d'accordo su come soddisfare la propria volontà di potenza. Nessuno era abbastanza forte per vincere una guerra veloce e sbarazzina, una guerra lampo, come un temporale estivo. Siccome, però, la guerra ormai era cominciata per uno sparo a Sarajevo, in qualche modo bisognava continuarla, lenta, ferma, sanguinosa, folle come possono essere folli gli umani quando giocano d'azzardo con il destino e per farla andare avanti cominciarono a scavare, per emergenza, per paura gli uni degli altri, come un solco provvisorio in attesa di un Natale di pace. L'emergenza divenne abitudine e i soldati, i vostri nonni e bisnonni, si arrangiarono a vivere l'inferno.

L'essere umano, in fondo, è un animale estremamente abitudinario. Si muove o si rintana solo per istinto di sopravvivenza. I muri, come le trince, sono segni della paura. Non li costruisci solo per difenderti dagli altri, ma per rassicurare te stesso. Alzi i muri quando non sai cos'altro fare. È quello che di nuovo sta facendo l'Europa. Sono anni che milioni di persone si spostano da ogni angolo del mondo in fuga dalle guerre, dalla fame o dalla disperazione. Ognuno di loro spera in un futuro migliore, attraversando deserti fino all'ultima frontiera. Non vanno nel porto o nel passo più sicuro. Vanno dove si passa. La realtà, al di là delle parole, è che nessuno li vuole. La meschinità è che nessun governo vuole neppure affrontare il problema. Tutti stanno costruendo muri e trincee.

Solo che questo nostro immaginario muro di confine passerebbe a San Martino, sul Carso, sfiorando quelle case dove non era rimasto che qualche brandello di muro. Lì dove finisce l'Italia e comincia l'Italia irredenta. Buffo anche questo, no? Le frontiere sono un miraggio del tempo. Ci viene voglia di costruire un muro su un confine che molti italiani non hanno mai riconosciuto.

Il confine interrotto di una pace tradita.

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