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Salvini umilia ancora Conte L'ira del premier: è scorretto

Scontro mai visto ai vertici del governo. Il Viminale convoca le parti sociali scavalcando Palazzo Chigi

Lo accusavano di soggiornare poco al Viminale e adesso invece il vicepremier Matteo Salvini è reo volontario e confesso di esserci rimasto troppo a lungo: più di cinque ore seduto al tavolo a parlare di provvedimenti economici con le parti sociali. Temi che a rigore non sono di sua stretta competenza, almeno non al ministero dell'Interno, e non a caso ogni suo gesto è sembrato studiato come una provocazione a tavolino per distogliere l'attenzione da altre, più insidiose questioni.

«Mi interessa una busta più pesante per gli italiani» ha dichiarato, convinto che alla fine sia l'unico ritornello capace di far dimenticare ogni stecca. E così, completo blu presidenziale, cravatta e camicia bianca col collo italiano, il leader leghista ha totalmente ignorato i malumori del presidente del consiglio, Giuseppe Conte, che lo ha apertamente accusato di «scorrettezza istituzionale» dentro i microfoni spalancati davanti a Palazzo Chigi.

Il motivo: averlo scavalcato nella sostanza e nella forma. Tra i due è sceso il gelo. Nemmeno prima della conferenza stampa conclusiva dei lavori, Salvini ha fatto una telefonata di cortesia a Conte, nonostante il premier si fosse sgolato in richiami all'ordine e inviti a tornare nei ranghi: «La manovra si fa qui, con i ministri, a partire da quello dell'Economia». Fino a dettare le parole d'ordine del governo: «Trasparenza verso i cittadini» e «fedeltà agli interessi nazionali». Vere e proprie stilettate in direzione di colui che Conte, con un certo sussiego, domenica sera aveva chiamato «il mio ministro dell'Interno». Figurarsi Salvini, a cui ormai, e già da lungo tempo, sta stretto persino il titolo di vicepremier, sentirsi retrocedere a semplice ministro dell'Interno, per di più alle dipendenze di colui che aveva pensato di scegliere né più né meno che come portavoce del contratto gialloverde.

La strategia scelta da Salvini, però, è stata ancora una volta quella di graffiare con unghie, denti e sondaggi. Invece di mostrarsi prudente e sotto tono, come avrebbero potuto suggerirli gli attacchi in arrivo dalle procure a persino dall'estero, sostenuto dai sindacati che hanno mostrato di apprezzare la «convocazione» al Viminale, ha scelto la linea diametralmente opposta. Al di là di qualche parola educata spesa per il presidente del consiglio, lo ha pubblicamente umiliato, ripetendo che è lui ad avere il pallottoliere dei voti e che in pratica se ne infischia di rispettare sensibilità e regole istituzionali. «Le prossime riunioni? Certo che le farò al Viminale» ha tagliato corto di fronte a chi gli segnalava i malumori esternati a Palazzo Chigi.

Non solo. Mentre sulla Lega pende la spada di Damocle dell'inchiesta per corruzione internazionale, il vicepremier si è presentato all'incontro con i sindacati con due esperti economici della Lega indagati dalla magistratura. Vale la presunzione di innocenza per l'ex sottosegretario Armando Siri, dimessosi per l'accusa di corruzione, che per Massimo Garavaglia, per cui la Procura di Milano ha chiesto due anni per turbativa d'asta, ma il gesto di Salvini, che ha apertamente difeso Garavaglia, in questo momento suona come un'ulteriore sfida, viste le continue tensioni con i 5S sulla giustizia. «Ho in mano un sondaggio: dice che la Lega cresce anche questa settimana» chiude la questione col premier, i magistrati e il mondo intero.

«Non mi turba l'atteggiamento di Conte» lascia scivolare con aria finto pacata. La carota: «È chiaro che i tempi della manovra li detta il presidente del Consiglio, di cui abbiamo piena fiducia». E il bastone: «Ma prima si fa la manovra meglio è».

L'unica cosa a interessargli è l'unica a cui sente di potersi appoggiare ma anche la più ballerina: il consenso.

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