Caccia al tesoro di Mutassim, quintogenito del rais libico Gheddafi ucciso assieme al padre il 20 ottobre 2011, giorno in cui cade l’ultima roccaforte Sirte. La contesa riguarda 90 milioni di dollari custoditi all’interno della Bank of Valletta, a Malta: le autorità di Tripoli dal 2015 sostengono il rientro in Libia di questi capitali, non è dello stesso avviso la vedova di Muammar Gheddafi, e madre di Mutassim, Safia Farkash. Nelle scorse ore a La Valletta si tiene una nuova udienza del procedimento avviato con la richiesta dell’attuale governo libico e la contesa sembra solo all’inizio.

Chi era Mutassim Gheddafi

Per comprendere la posta in gioco, che va al di là dei novanta milioni di dollari custoditi nei forzieri maltesi, occorre in primo luogo precisare chi era Mutassim Gheddafi. Partendo da un fatto: nel 2007, nello stupore generale, è lui ad essere nominato come capo del consiglio nazionale di sicurezza. Una carica fatta apposta per lui, istituita dal padre nel giro di pochi giorni per dare un preciso segnale: Mutassim nella gerarchia di famiglia è uno su cui si deve puntare. In un certo qual modo è il quintogenito del rais a rappresentare l’ala più conservatrice del passato regime, al contrario invece del fratello Saif Al Islam, secondogenito ma primo nell’ideale scala di successione a Muhammar, che rappresenta le istanze dei cosiddetti “riformatori”.

Le vicende interne alla Jamahiriya, il governo delle masse dell’era Gheddafi, sono tanto repentine quanto imprevedibili: a volte sembra Saif ad essere avvantaggiato, altre volte invece è Mutassim a spuntarla. Di lui comunque suo padre si fida, tanto da inviarlo nel 2009 a Washington per un incontro con l’allora segretario di Stato Hillary Clinton. Quando scoppiano le proteste nel 2011 con successivo intervento della Nato, Saif cura l’immagine e prova a sedare gli animi parlando in tv, Mutassim invece sembra assumere ruoli di primo piano sotto un profilo militare. Forse per questo è assieme al padre a Sirte: quando viene catturato, il quintogenito del rais appare in buone condizioni, poi probabilmente viene ucciso a sangue freddo dagli stessi che poco prima linciano il padre.

I novanta milioni di dollari custoditi a Malta

Da qui quindi la querelle tra l’attuale governo di Tripoli e la famiglia Gheddafi. Secondo l’esecutivo stanziato nella capitale libica, i soldi di Mutassim devono tornare nel paese nordafricano in quanto fondi appartenenti ai libici. Al contrario, la madre di Mutassim sostiene che quei soldi sono del figlio e devono essere gestiti dalla sua famiglia. A rappresentare le istanze della vedova del rais, è l’avvocato greco Charilaos Oikonomopoulos.

Nel corso dell’udienza delle scorse ore, il legale di Safia Farkash, che oggi vive in Oman, spiega come quei novanta milioni di Dollari non fanno parte dei fondi governativi bloccati dall’inizio della guerra in Europa, bensì sono frutto di investimenti privati di Mutassim. Attività proprie del quintogenito di Gheddafi, per la verità non molto note: si sa infatti che, in qualità di capo del consiglio nazionale di sicurezza, Mutassim riceve emolumenti per complessivi 45mila dollari all’anno. Considerando che mantiene questo incarico per quattro anni, è chiaro che gran parte di questi fondi non sono frutto del suo stipendio regolarmente erogato durante il governo del padre.

C’è chi parla di interessi maturati grazie a partecipazioni ed investimenti in altre società, soprattutto straniere. Ma l’attuale governo di Tripoli punta il dito proprio su questo: secondo le norme in vigore durante l’era del rais, Mutassim non avrebbe potuto avere partecipazioni in aziende private, né ricevere somme da altri canali diversi da quelli dello stipendio per il suo incarico governativo. In poche parole, per Tripoli quei novanta milioni di dollari sono accumulati illecitamente e devono tornare in Libia. Per adesso però le somme rimangono nella Bank of Valletta, gestita da due società maltesi: Capital Resources e Mezen International, entrambe gestite da Joe Sammut. Quest’ultimo non è un nome di secondo piano, essendo per anni tesoriere del partito laburista maltese.

Lo scontro tra il governo di Tripoli e la famiglia Gheddafi è anche di natura politica: per l’attuale esecutivo, far tornare i fondi del quintogenito del rais vorrebbe significare la discontinuità con una delle figure più importanti della passata era. Per la famiglia Gheddafi invece, qualora dovessero risultare vincenti le proprie istanze, si avrebbe una prima parziale riabilitazione politica dopo la guerra che fa crollare la jamahiriya nel 2011.