Cronache

Mafia nigeriana: riti, pestaggi e il rischio di radicalizzazione impressionano Cosa Nostra

Nella relazione della Dia individuato il profilo criminale del clan, che si è diffuso in tutto il Paese avviando "importanti sinergie criminali" anche con la mafia locale. Un collaboratore di giustizia: "Sono entrato con un pestaggio di venti minuti. Se lasci ti bruciano vivo"

Mafia nigeriana: riti, pestaggi e il rischio di radicalizzazione impressionano Cosa Nostra

Si è inserita perfettamente nel territorio italiano, avviando importanti sinergie criminali con le organizzazioni mafiose del Paese, diventando anch'essa un'associazione di stampo mafioso e, a volte, impressionando persino la criminalità locale. La seconda Relazone semestrale 2018 della Direzione investigativa antimafia la descrive così la mafia nigeriana, a cui dedica un capitolo a parte, a conferma dello spessore che questa realtà sta assumento in Italia. Dal Nord si è diffusa progressivamente su tutto il territorio nazionale, fino in Sicilia, dove ha trovato un proprio spazio, "anche con il sostanziale placet di Cosa Nostra". La Cassazione ne ha sottolineato i tratti tipici della mafiosità, rappresentati dal vincolo associativo, dalla forza di intimidazione, dal controllo di parti del territorio e dalla realizzazione di profitti illeciti. Il tutto "sommato a una componente mistico-religiosa, a codici di comportamento ancestrali", ma soprattutto a un importante ricorso alla violenza.

Il pericolo radicalizzazione

Secondo quanto riportato dalla relazione, il gruppo avrebbe anche una rete "in costante contatto con la madre patria, che è necessario monitorare per prevenire contaminazioni da parte di espressione estremiste filo-islamiche presenti in Nigeria, dove Boko Haram continua a diffondersi". Per la Dia, infatti, massima attenzione va rivolta agli istituti penitenziari "per evitare che si alimenti la radicalizzazione".

Pratiche tribali e tecnologia

Il documento la definisce "tribale e spietata" e "difficile da decifrare nelle dinamiche interne". Secondo quanto riportato dal documento della Dia, oltre a dedicarsi a pratiche come i riti vodoo, la criminalità nigeriana declina "in maniera sorprendente grandi capacità nell'impiego di tecnologie avanzate e nella realizzazione di sistemi finanziari paralleli, grazie ai quali fanno affluire, verso la Nigeria, ingenti somme di denaro acquisite con le attività illegali". Il gruppo, che ha come riferimento un network criminale internazionale con base nel Paese africano, fa affari, in particolare, con la droga e con la tratta di persone ridotte in schiavitù.

Chi se ne va è "bruciato vivo"

Secondo quanto riportato da Repubblica Bologna, nel documento con cui il pubblico ministero Stefano Orsi, della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha disposto i fermi per 19 persone, sarebbero descritte tutte le regole alle quali i componenti dell'organizzazione devono attenersi: "Per la violazione di queste regole è prevista esplicitamente la pena di morte, inflitta con metodi di tortura, come quello di essere bruciati vivi". Il clan a cui si fa riferimento nelle carte è l'associazione criminale "Maphite" e della sua articolazione locale, detta la "Famiglia Vaticana", un gruppo al quale la procura, per la prima volta in Emilia-Romagna, ha contestato l'organizzazione di tipo mafioso. Esattamente come Cosa Nostra e 'ndrangheta. Per l'avvio (e la conclusione) delle indagini, fondamentali anche le parole di un collaboratore di giustizia che, proprio nel capoluogo emiliano, aveva subito il rito di iniziazione, e il ritrovamento della "Bibbia Verde" ("Green Bible"), una sorta di libro dei comandamenti dei mafiosi, un manuale morale e un codice di comportamento.

La testimonianza del pentito

Nel 2016, dopo l'arresto, un affiliato al gruppo che viveva a Bologna aveva deciso di collaborare con la giustizia, raccontando una dinamica criminale con cui era entrato in contatto nel 2011. Secondo quanto ricostruito, l'uomo all'epoca gestiva un negozio di alimentari nella prima periferia della città al momento dell'avvicinamento di un esponente di Maphite. Sceglie di entare, per assicurarsi rispetto e protezione, perché il clan ha del seguito. Le cose cambiano una volta dentro: "Quando sono entrato in questa organizzazione, le cose che ho visto sono state orribili e mi hanno reso infelice. Si può smettere di farne parte solo con la morte". Uscire dal clan è impossibile.

L'iniziazione dell'uomo

Secondo quanto raccontato dall'uomo, l'iniziazione sarebbe avvenuta nel suo negozio: "Mi hanno detto di spogliarmi, di restare in mutande e inginocchiarmi. Hanno iniziato a picchiarmi brutalmente, con calci e pugni per venti minuti". Al termine del pestaggio un altro passaggio: i palmi delle mani rivolti verso l'alto e un pezzo di carta bruciato, simbolo dell'appartenenza ai Maphite.

Continua a far parte del clan fino al 2016, quando sceglie di parlare con gli investigatori.

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