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Trump e i cori "razzisti" Ma no all'impeachment

Risoluzione d'accusa bocciata. Urla contro la deputata Omar a un comizio: «Vada via»

Trump e i cori "razzisti" Ma no all'impeachment

«Rimandala indietro», «rimandala indietro» gridano in coro, insistenti, i sostenitori di Donald Trump arrivati a Greenville, North Carolina, per sentire il presidente. The Donald li ha appena galvanizzati con un nuovo attacco a Ilhan Omar, la deputata arrivata dalla Somalia trent'anni fa come rifugiata e simbolo dell'America multietnica. Il presidente definisce lei e le altre tre democratiche che si sono autobattezzate «The Squad», la Squadra, come «estremiste piene d'odio». Le parole scorrono sul gobbo, segno che la scelta non è affatto casuale. E dalla folla è un tripudio contro Alexandria Ocasio-Cortez, la deputata di New York originaria di Puerto Rico ed espressione dei latinos, Ayanna Pressley, afroamericana del Massachusetts, e Rashida Tlaib, che con Ilhan Omar è una delle prime due donne musulmane entrate al Congresso. È la prova che le quattro rappresentanti dem sono il terreno su cui Trump vuole giocare la partita della sua rielezione. Omar reagisce il giorno dopo: «Abbiamo detto che questo presidente è razzista. Credo sia fascista». Lui si tira indietro: «Dissento coi cori, di cui non sono stato contento».

Il presidente, in realtà, ha appena esultato per il mancato «impeachment» della Camera, dopo la risoluzione presentata dai democratici per «aver screditato la presidenza con i suoi commenti razzisti». La mozione è stata bocciata e rinviata a tempo indeterminato con 332 voti contrari e 95 a favore, dopo quella con cui i deputati lo hanno invece condannato (247 a favore, 187 contrari) per i suoi commenti razzisti da cui tutto ha avuto inizio («Tornate nei Paesi da cui siete venute» aveva scritto delle quattro deputate, tutte nate negli Usa, tranne Ilhan Omar, ma tutte di varie origini).

Trump ha due obiettivi. Da una parte vuole usare la stessa strategia che gli ha garantito la vittoria nel 2016, cioè un discorso nazionalista e identitario, che rischia di sconfinare nel razzismo, tanto che il repubblicano Bill Weld, ex governatore del Massachusetts, invita gli elettori a guardare il video dei cori contro le deputate e chiede se il partito sia ancora quello di Lincoln e Reagan. Dall'altra parte - ecco l'altro obiettivo - il capo della Casa Bianca vuole fare di tutto il Partito democratico un fascio indistinguibile tra moderati e progressisti, che lui chiama «estremisti» come le quattro deputate, entrate più volte in conflitto con la Speaker democratica della Camera Nancy Pelosi. Trump punta a spingere gli uni nelle braccia degli altri e ci sta riuscendo. Vuole che l'immagine dei democratici per il 2020 non sia quella di Joe Biden, Elizabeth Warren, Kamala Harris o Pete Buttigieg, i candidati democratici moderati e suoi possibili sfidanti.

Vuole che il volto dem sia quello delle donne «che non amano gli Stati Uniti», le quattro deputate che «invece di rimettere in sesto i posti infestati dal crimine da cui provengono» dicono invece «malignamente alle persone degli Stati Uniti, la più grande e potente nazione al mondo, come il nostro governo va condotto».

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