Controcultura

Jim Morrison, il lato umano di un impenitente trasgressivo

Nelle «conversazioni» di Frank Lisciandro, i ricordi di tutti gli amici della star. Che rivelano segreti, aneddoti, letture...

Jim Morrison, il lato umano di un impenitente trasgressivo

Ogni volta che si tenta di fare luce sulla vita delle star del rock si resta invischiati in tantissime problematiche legate alle fonti cui attingere, alle voci di corridoio o di quelle persone che non riuscivano proprio a non vedere l'oggetto delle loro testimonianze senza acrimonia o soggettività. Peggio ancora, spesso ci si trova a dover fare i conti con una stampa snob, impreparata o troppo politicizzata.

Chi era quindi davvero Jim Morrison? Chi è stato nella sua vita? Chi è diventato quando è assunto a star? E in chi è stato trasformato dopo la sua morte a Parigi? Sono domande cui risponde Frank Lisciandro (che è stato regista insieme a Morrison del film HWY e ha effettuato le riprese di Feasts of Friends) con il suo libro Una conversazione tra amici, testo di cui da qualche anno si parlava nell'ambiente editoriale e musicale e che finalmente arriva in Italia per i tipi di Giulio Perrone Editore. Che cosa si trova tra queste pagine? Molto schiettamente lo dichiara nell'incipit lo stesso Lisciandro: «Questo libro affronta e spazza via i miti per fare luce su un uomo straordinario e su un artista creativo di talento. In queste pagine, Jim viene rivelato candidamente da persone che lo hanno conosciuto, che ne sono state compagni, colleghi, mentori e amanti. Troverete storie buffe, segreti rivelati e verità più sorprendenti di qualsiasi distorsione fatta circolare durante e dopo la vita di Jim. Il risultato è una interpretazione più dettagliata, un ritratto più umano e accurato». Ma oltre a essere un'interpretazione più dettagliata, un ritratto più umano, ciò che si legge di Morrison appare come un mosaico aperto, dove il lettore può aggiungere le proprie considerazioni.

Il lavoro dell'autore è stato certosino e appassionato, avulso da qualsiasi sistema di protezione dell'amico scomparso (pur dichiarando di volerlo «rivalutare») e si è appoggiato sui suoi amici - che non lesinano comunque momenti abrasivi nelle loro memorie - e sulle persone della sua cerchia: «Una a una, iniziai a contattarle e a incontrarle, nella speranza di poter ricavare dalle nostre conversazioni nuove informazioni e notizie inedite. Molte di quelle persone non erano mai state intervistate e alcune erano piuttosto riluttanti. Potevo però contare sul fatto che tutti sapevano che io e Jim avevamo collaborato e che mi considerava un amico intimo. L'unica condizione a cui dovevano attenersi era che raccontassero soltanto ciò che avevano visto con i propri occhi. Così, sarebbe stata chiara e inconfutabile la fonte. Non volevo diffondere storie poco credibili, dalle origini discutibili o inaffidabili. Con pazienza e generosità, gli amici di Jim mi resero partecipe dei loro ricordi...».

Da questi incontri ne esce un libro che mette in gioco il «Re Lucertola», lo allontana da qualsiasi speculazione postuma o proiezione critica/personale, ne mette in luce aspetti impensabili per molti ascoltatori, lati come la sua profonda ironia, che da ragazzo esplodeva in scherzi telefonici o finte morti tra i corridoi scolastici.

Soprattutto risalta, durante questa conversazione, la grafomania di Morrison, che lo portava a scrivere di continuo, che lo possedeva nella poesia e nell'idea - forse inconsapevole, forse no - di poter diventare un poeta, sulle tracce di Whitman e dei poeti beatnik, soprattutto (pur ridendone a mo' di scherno dei poeti), ma con una personale linea di fuga simbolica che gli apparteneva per Dna, con la creazione di una nuova mitologia, di una spiritualità, se così vogliamo definirla, che prendeva spunto anche dalle sue letture fondamentali, come Hermann Hesse (Il pellegrinaggio in Oriente) oppure Sándor Ferenczi (il saggio Schermo del sogno).

Si esce da questo libro con un senso di leggerezza e spaesamento, con il retrogusto di un'inconsolabile mancanza tipica dell'occasione perduta, quella di non aver compreso o conosciuto un uomo che aveva deciso di intraprendere la fenomenica del rock'n'roll, pur non rinunciando a una sua laica spiritualità capace di affascinare e magnetizzare chi lo incontrava, anche da sotto un palco.

Un uomo mosso da una straordinaria passione per la vita e l'arte che viene sintetizzata in una sua frase: «Abbiamo tutta questa roba da fare».

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