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"L'orgoglio per questo mio Toro che ritorna nell'arena d'Europa"

Il presidente alla vigilia del preliminare di Europa League col Debrecen: «Noi un gruppo di qualità e scopritori di talenti»

"L'orgoglio per questo mio Toro che ritorna nell'arena d'Europa"

Presidente Cairo, lo sa che esiste una singolare coincidenza tra il ritorno del Toro in Europa league e la famosa stagione del '91-'92 quando i granata arrivarono in finale?

«Certo, ricordo perfettamente il precedente. Stiamo parlando della finale di coppa Uefa contro l'Ajax segnata dal famoso episodio di Mondonico che alza al cielo la sedia. Non ho memoria invece della coincidenza. Di cosa si tratta?».

Anche allora il Toro giocò la Uefa grazie alla squalifica del Milan punito per l'episodio di Marsiglia, i fari spenti...

«Ecco, adesso ricordo anche quell'episodio. All'epoca io lavoravo, come responsabile della pubblicità Mondadori, per il gruppo del presidente Berlusconi. Sono stato con lui dieci anni, lasciai nel '95. Non so se porterà buono o no, l'importante è prepararsi per bene a queste due partite contro gli ungheresi del Debrecen che è, me lo ripetono tutti, una buona squadra, partita in anticipo nella preparazione rispetto a noi».

Ci spiega la scelta di Alessandria, uno stadio troppo piccolo per accogliere il popolo granata?

«È stata una scelta quasi obbligata. Noi, per via dei concerti, avevamo l'Olimpico Grande Torino impraticabile e abbiamo consultato tutti gli stadi di serie A che avrebbero potuto ospitare il nostro pubblico. Siamo partiti da Genova, per passare a Reggio Emilia, a Parma, a Firenze per finire con Milano: tutti hanno dichiarato l'indisponibilità per motivi diversi, lavori in corso o rifacimento del manto erboso. A quel punto è rimasta solo Udine e francamente non me la sono sentita di infliggere ai nostri tifosi un viaggio così lungo il giovedì sera. Alla fine, quindi, abbiamo puntato su Alessandria».

Qualcuno sospetta che l'ha fatto in omaggio alle radici della sua famiglia...

«Sì, ho letto ma posso garantire che non è così. Da altre parti avremmo fatto un super incasso! Ad Alessandria abbiamo finora 4mila posti. Diventeranno 6mila appena l'Uefa ci darà il via libera, dopo aver fatto il sopralluogo, ai nostri lavori per sistemare 2mila seggiolini».

Dal mercato non è arrivato nessun rinforzo: c'è una spiegazione?

«Affrontiamo il turno di qualificazione con la stessa squadra che ha totalizzato 63 punti in campionato e che nel girone di ritorno ne ha guadagnati 1 meno della Juve e 5 meno dell'Atalanta. Si è dimostrato un gruppo di qualità cui mancherà solo Rincon appena rientrato in sede. Al mercato penseremo dopo. D'altro canto non dobbiamo rivoluzionare la squadra, avremo bisogno di qualche ritocco, eseguito con intelligenza».

Dall'altra parte della città, la Juve continua a fare raccolta di campionissimi a cifre consistenti, De Ligt dopo CR7: come vive il Toro questa diversità?

«Con grande consapevolezza e orgoglio. Noi scegliamo una strada diversa: facciamo un lavoro di ricerca mondiale, cerchiamo giovani da lanciare e valorizzare più italiani di spessore, tipo Sirigu per esempio che ha dato al nostro gruppo talento, esperienza e motivazioni».

C'è chi sostiene che è stato Cairo a far nascere la forte opposizione al progetto di Ceferin-Agnelli della super Champions...

«Non ho l'abitudine di incassare meriti che non mi appartengono. A dire il vero c'è stata una sollevazione europea, a cominciare dalle leghe più autorevoli, inglese e spagnola, le quali hanno spinto il presidente dell'Uefa a riporre nel cassetto quell'idea balzana. Che tra l'altro si trascinava dietro un criterio ingiusto di torneo della Champions a inviti, a dispetto del risultato in campionato. Non sarebbe stata una super Champions ma una minor Champions. Non parliamo poi del proposito di disputarla durante il fine settimana: avrebbe provocato la rivolta dei tifosi».

Le nuove proprietà straniere sono un bene o una complicazione per il calcio italiano?

«Il mio giudizio è positivo, molto positivo. Se il calcio italiano riesce ad attrarre investitori stranieri vuol dire che il prodotto calcio funziona, anche se in materia di diritti tv siamo ancora sottostimati».

È sempre attratto dalle sirene della politica?

«Le racconto perché l'argomento è tornato d'attualità. Ho sempre detto di non essere disponibile perché completamente concentrato sulle mie aziende: ho 5mila dipendenti, altri 5mila nell'indotto e sento tutta la responsabilità di questi numeri. Devo perciò totale dedizione al mio lavoro. Naturalmente apprezzo che dall'opinione pubblica venga questa richiesta di entrare in politica. Ho risposto mai dire mai perché nella vita non si può mai ipotecare il futuro. Resto convinto che ora, un mio impegno in politica, è da considerare molto lontano».

Presidente Cairo, sappiamo che ha ricevuto di recente l'invito a impegnarsi nel calcio a Foggia: ci spiega com'è andata?

«È vero. Mi ha telefonato il sindaco di Foggia Franco Landella, persona molto preparata, per chiedermi d'intervenire nel progetto calcistico della sua città. Io conosco bene la passione e l'entusiasmo di quella piazza che ha una grandissima tradizione calcistica. La squadra poi ha i colori rossoneri e io da ragazzo ho sempre tenuto per Toro e Milan. Ho dovuto, a malincuore, declinare l'invito, perché sono abituato a interessarmi in prima persona delle mie aziende.

E il Toro assorbe già le mie migliori energie».

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