La Germania è sotto attacco. Non da parte di una potenza straniera, ma a causa delle scelte di Angela Merkel. Che dopo anni di porte aperte ora si ritrova a dover gestire un fenomeno che fino a qualche anno fa non sembrava essere così grave: l’immigrazione senza controlli.

Per anni il governo di Berlino ha promosso la politica delle aperte. Una politica che se non era di totale apertura all’immigrazione clandestina, era comunque il frutto di una scelta precisa da parte dell’esecutivo a guida Cud: l’apertura della Germania al flusso migratorio diventando una sorta di potenza benefica in tutta Europa. Doveva essere la Germania il modello da seguire per tutta l’Unione europea, con la leader tedesca a essere considerata una sorta di guida morale di un continente che doveva aprirsi ai flussi.

Il problema è che Angela Merkel e i suoi governo non hanno fatto i conti con la realtà. Una realtà fatta di immigrazione incontrollata e di incapacità di integrare tutti coloro che volevano fare il loro ingresso nel Paese. A tal punto che da un momento all’altro si è scoperta ostaggio di se stessa. Incapace di poter cambiare idea da un momento all’altro sul fenomeno migratorio, Angela non poteva decidere di modificare tutta la sua strategia  e la sua immagine  mostrandosi di punto in bianco “sovranista”. Ma quello che era iniziato a serpeggiare in Germania era un problema difficile da gestire, ormai fuori controllo e che per anni Berlino ha voluto nascondere, come polvere sotto la tappeto per evitare il peggio. Per evitare di ammettere che era inutile fare la morale agli altri se poi i primi a dover subire i danni dell’immigrazione incontrollata erano proprio i cittadini tedeschi.

Per un certo periodo, in Germania si è pensato di derubricare tutto a una sorta di problema inevitabile il cui clamore mediatico veniva amplificato dai movimenti di destra. Un copione già visto, frutto di un’incapacità di leggere la realtà: l’ascesa delle destre tedesche, ben più nazionaliste di quelle di altri Paesi, non era la causa, ma la conseguenza dell’arrivo incontrollato dei migranti. E l’incapacità di gestire il flusso di oltre un milione di persone è stato talmente evidente che tutti i Lander tedeschi hanno tutti, chi più chi meno, avvertito la necessità di un cambiamento. Perché la Germania, in fondo, era ormai preda di se stessa e di quel modello che ha voluto rappresentare a tutti i costi senza comprendere i suoi errori.

Le immagini di questi giorni sono sconvolgenti. Un immigrato mediorientale (non si sa se siriano o di nazionalità giordana) che uccidere con una spada un uomo per le strade di Stoccarda. Un uomo che, stando almeno alle prime indiscrezioni filtrate del ministero dell’Interno del Baden-Wurttemberg – non avrebbe neanche avuto i documenti in regola, già pregiudicato e con un diritto di soggiorno che forse non aveva. Pochi giorni prima, un eritreo spingeva un bambino di otto anni dotto un treno nella stazione di Francoforte. Anche lui era arrivato in Germania da un Paese in guerra, nel 2006, e ora è sotto la lente degli psichiatri. Personalità diverse ma accomunate da un dato: in Germania c’è insicurezza.

Dopo questi episodi di efferata violenza, il ministro dell’Interno, Horst Seehofer, da sempre fautore di una linea più dura nei confronti dell’immigrazione clandestina, ha imposto controlli alle frontiere con la Svizzera, ritenute uno di punti più delicati del passaggio di immigrati irregolari verso il territorio tedesco. “So che la cancelliera Merkel appoggia la linea della sicurezza“, ha detto l’uomo forte della Csu bavarese. Sarebbe però il caso di chiedergli se questa linea della sicurezza è  la stessa che ritiene utile per l’Italia, dove invece, sempre secondo Berlino, i porti dovrebbero essere aperti a tutte le navi delle Ong che, battenti bandiera tedesca o di proprietà di armatori tedeschi, portano sul nostro territorio centinaia di migranti senza alcuna possibilità di controllare chi sono realmente e quali siano i motivi che li spingono ad attraversare il Mediterraneo. Il fallimento tedesco è evidente. Ma il rischio è che questo fallimento possa essere esportato in tutta Europa in nome della solidarietà. E invece è proprio la Germania a darci un’altra lezione.