Arte

Alberti, un grande architetto di ironie e dinamiche sociali

Dai dialoghi su vizi e virtù all'economia domestica e al romanzo satirico "Momo". Ecco tutte le sue opere

Alberti, un grande architetto di ironie e dinamiche sociali

All'interno della millenaria civiltà medievale, il Quattrocento ha rappresentato il secolo che, più di ogni altro, ha registrato la felice commistione tra le eredità storiche e culturali dei secoli precedenti e i nuovi fermenti che vi ribollivano, in attesa di trovare uno sbocco nel presente e nel futuro. Lo studio imbolsito della storia ne ha poi ribadito la notorietà, a scapito della conoscenza. Quante volte abbiamo sentito ripetere, a partire dai banchi delle elementari, come il 1492 sia la data più famosa nella storia del mondo? Asserzioni perentorie da revisionare a parte, il quindicesimo secolo ha lasciato in eredità ai posteri molto, molto di più che la memoria della navigazione di tre caravelle, mandate in ricognizione verso le Indie Occidentali. «Il tratto fondamentale del Tardo Medioevo è il suo carattere prevalentemente visivo»: già nel 1919 lo storico olandese Huizinga ammoniva a cercare altrove le linee direttrici per comprendere appieno quell'epoca.

La conoscenza della vita e delle opere dell'uomo di lettere e architetto Leon Battista Alberti (Genova 1404 - Roma 1472), potrebbero di certo aiutarci a comprendere appieno quella che riteniamo la creazione più consapevole tra quelle partorite nel corso di quei cento, intensissimi anni: la cultura umanista. La recente pubblicazione, nella collana dei «Meridiani», delle opere di Leon Battista Alberti in un tomo dal titolo Cantieri dell'Umanesimo (Mondadori, pagg. LXVIII-1700, euro 80), arricchisce tanto una collana troppe volte adagiata sulla contemporaneità quanto i lettori, forti od occasionali, che potranno finalmente sfogliare, in un unico, compatto volume, un ventaglio di opere di argomento comico-umoristico, morale, tecnico-artistico e amoroso-autobiografico, fino a solo un anno addietro disseminato in varie collane e studi di settore.

«Cosa non darei per una macchina del tempo»: di certo Tolkien avrebbe riutilizzato quest'espressione, una volta compulsato questo libro. La lunga ma essenziale prefazione di Giulio Busi ci introduce in quel Quattrocento europeo che trovava, in città come Roma e Firenze, le sue stelle polari, per le ricche sovvenzioni agli studi offerte anche al brillante «abbreviatore» Leon Battista Alberti, addetto, per la curia ecclesiastica, alla redazione di missive e di viaggi finanziati da Papi come Pio II o di contatti intessuti con signori quali Ludovico Gonzaga. Come non voler essere là presenti, in quel 1471, per partecipare con l'Alberti ad una visita guidata delle rovine monumentali di Roma in compagnia di Lorenzo de' Medici, Bernardo Rucellai e Donato Acciaiuoli? Nel 1440, venivano raccolti gli Intercoenales, dialoghi che ironizzavano, con accorta sagacia, sui vizi e le virtù del consesso umano. «È dovere dei re compiacere tutti, in modo che ti debbano immensa gratitudine»: basterebbe leggere questo trafiletto per ricostruire la storia plurisecolare (e mai smentita) del politico che vuole essere piacione a tutti i costi.

In Cantieri dell'Umanesimo, la scelta di presentare opere in traduzione italiana non è solo frutto di intelligenza editoriale. Sebbene altezzoso per essere parte della cerchia di Papa Eugenio IV, la condizione di Alberti di figlio illegittimo lo spingeva a capofitto nella realtà mercantile dell'epoca, nella quale, con l'uso reiterato del latino, potevi concretizzare (leggi: monetizzare) ben poco. I Libri della famiglia, scritti tra il 1443 e il 1441, danno una testimonianza gelidamente perfetta di quelle relazioni parentali e di gruppo, che ancora oggi reggono, tra quotidiani sconquassi, il nostro vivere civile. «Da natura l'amore a me fa più cara la famiglia che cosa alcuna. E per reggere la famiglia si cerca la roba». Avreste mai immaginato che il modello di famiglia mercantile, formata da marito, moglie, figli, dipendenti e circondata da amici che ti aiutano e ti consigliano nella gestione della tua attività, così alacremente difesa da Leon Battista Alberti, sarebbe arrivato fino a noi? Avete già dimenticato la famiglia Cunningham di Happy Days, edulcorata quanto ti pare ma inflessibilmente mercantile?

Gli altri testi inseriti nel «Meridiano» fanno parte, dai tempi della Storia della letteratura italiana di De Sanctis (1871), della formazione di quei maestri e professori che hanno insegnato ad intere generazioni di italiani come scrivere nella «Lingua del sì». Riscoprire, con finalità diverse dalla stesura del tema di italiano o dell'interrogazione in storia dell'arte, opere quali il De Architectura (1459) o l'Autobiografia, costituirebbe un salto di qualità per qualsivoglia lettore. «Il naso era diventato affilatissimo, le labbra pendevano inaridite, gli occhi erano scavati e infossati, la barba lurida, ispida e incolta». Parliamo forse di quella sagoma impersonata da Tomas Milian nei suoi film dai toni apparentemente così sgangherati? Con cinque secoli di anticipo sulle gesta picaresche dell'irrefrenabile «Er Monnezza», alias «Nico Giraldi», alias «mai dare con leggerezza patenti di originalità a chicchessia», la produzione comica dell'umanista Leon Battista Alberti, romano d'adozione ante litteram, ci insegna a ridere di gusto e a canzonare tanto l'arroganza dei potenti quanto la supponenza dei popolani.

Non resta allora che lasciarci andare ad un gesto che declini, oggigiorno, la plurisecolare tradizione goliardica della nostra cultura, troppe volte repressa o, peggio ancora, forzosamente rimossa. Mai pensato di dissentire fortemente da quanti si ostinano a definire il nostro luminoso e lunghissimo Medioevo, ultime propaggini incluse, come «Età oscura»? Ripartiamo da Leon Battista Alberti e facciamo una bella, crassa risata, in faccia a quanti lo hanno relegato alla manualistica.

Agli apologeti di ogni risma, fautori consapevoli o involontari del crescente autoisolamento di ogni essere umano, da giustificare con il solito refrain del «progresso inevitabile», leggiamo, ad alta voce, le parole dette dal dio di nome Momo agli altri dei dell'Olimpo, vero e proprio monito a non perdere la gioia del vivere umanamente in una società composta di individui che dialogano e cooperano tra loro nel mondo reale e concreto di tutti i giorni.

Nel romanzo satirico Momo, il protagonista omonimo si lascia andare ad una considerazione fino a ieri condivisa da (quasi) tutti: «È proprio come dicono, non esiste godimento tanto intenso che non diventi insignificante quando non ne fai partecipi gli altri»: dinanzi alla supina accettazione delle mille forme di (auto)alienazione, oggi imperanti, urge conservare, e soprattutto diffondere, il sapere a noi tramandato dalla cultura umanista. Questo è il testimone da raccogliere.

Alberti docet, con ponderata leggerezza.

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