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Max Calderan e la traversata nel deserto più inospitale del mondo

L’esploratore estremo si è spinto oltre un limite mai contemplato: un’impresa inumana dentro un inferno di fuoco lungo 1.100 km

Max Calderan e la traversata nel deserto più inospitale del mondo

La troupe che lo segue da vicino è madida si sudore, ma non soltanto per il caldo opprimente. È il pensiero che questa nuova impresa possa rivelarsi anche l’ultima, a instillare brividi lungo il solco disegnato tra le scapole. Le autorità locali hanno cercato di dissuaderlo in ogni modo. I media, poi, sono pronti a tratteggiare il tentativo alla stregua di un suicidio assistito. Davanti a questi rimuginii sobbollenti si distende, tutt’altro che placida, un’arroventata lingua di terra. È cosparsa da strati di sabbia che lambiscono temperature incombatibili con la vita. La spazzano venti tumultuosi, generatori di tempeste accecanti. Le dune che la punteggiano possono grattare i trecento metri d’altezza. Lo chiamano “Il quarto vuoto”, perché è un pezzo di deserto saudita in cui nessuno ha mai osato mettere piede. Da queste parti lo chiamano Rub Al - Khali.

Non esistono foto, solo quelle dei satelliti

Fino a quando, è un giorno di gennaio del 2020, Max Calderan da Portogruaro alza la mano. “Io ci provo”, sussurra al suo team, stranito dall’idea. Perché se è pur vero che si tratta di un esploratore desertico navigato, è altrettanto evidente come quell’impresa sia folle, inumana, destinata a consumarsi lentamente in tragedia. “The Empty Quarter”, come lo chiamano gli anglofoni, è semplicemente una improponibile sfida. Le condizioni che racchiude sono talmente ostili che l’unica fotografia che ci consente di immaginarne i contorni levigati dal vento, è quella che proviene da satelliti che se ne stanno a debita distanza. Se Calderan ne uscisse vivo, potrebbe riscrivere la geografia di questo luogo letale.

Una pista lunga 1.100 chilometri inedita

Così parte, a piedi come di consueto, dopo mesi di cervellotica programmazione. Nulla però può prepararti davvero alle insidie celate tra quelle colline di granelli semoventi. Ha un percorso tracciato sulla cartina che stringe tra le dita e anche una mappa mentale, ma il deserto se ne infischia. Rifiuta categoricamente di essere imbrigliato tra le colonne anguste di un qualche pretenzioso foglio excel. La più trascurabile forma di impudenza può rivelarsi fatale. Davanti a Max ci sono 1.100 chilometri inediti e strepitanti. Una sorta di congiunzione tattile tra la vita e la morte.

Diciotto giorni di cammino nel nulla

Parte con passo ossequioso e felpato. A breve distanza, a bordo di mezzi attrezzati, lo scortano la produzione che intende girare un documentario sulla sfida e la sua equipe. È un incedere lento, perché i piedi affondano e le energie pretendono di essere meticolosamente gestite. Di giorno lo trafiggono senza riparo i raggi incandescenti che calano perpendicolari dall’alto, mentre il calore che sale dalle sabbie lo rosola impietosamente. Quando cala l’oscurità il corpo deve resistere allo shock termico. Va avanti così per giorni, evitando di ringalluzzirsi mano a mano che la meta si fa più vicina. Anche perché gliene serviranno 18. Sa di avere iniziato un duello impari. Se non lo rispetta profondamente, il suo avversario lo fagogiterà.

Dune insormontabili portano presto alle allucinazioni

Gli ultimi 200 km sono l’anticamera dell’inferno. Qui si fermano anche gli accompagnatori: lo attenderanno al traguardo, così come i medici e le autorità locali. Ammesso che arrivi. Adesso i programmi vengono stralciati. I percorsi immaginati si dissolvono gradualmente. Dune insormontabili lo costringono a compiere giri impensabili. La fatica si accumula. Max procede caracollando, avvolto da un’assordante solitudine, lavorato da ogni lato da grandinate di sabbia. D’un tratto si sorprende sul punto di cedere, sfinito e preda di allucinazioni. Allora si ferma per un istante, per rivolgersi al deserto: “D’accordo, hai vinto tu, ma almeno fammi arrivare fino in fondo per raccontarlo”.

La sua forza: un'anomalia del cortisolo

Per farcela però, servirebbero doti inumane. Quando tutto pare perduto, si ricorda di possederle. Rammenta quel provvidenziale test del Dna: “Signor Calderan, le abbiamo trovato un’anomalia fisiologica”. Livelli di cortisolo largamente sotto alla media. Non è per forza un male: per i medici, questo significa anche capacità di resistenza superiore ai livelli di stress. Quando intravede le prime sagome, si commuove. Prima sono figure indistinte, poi si fanno sempre più nitide. Stremato, arranca verso di loro. Li abbraccia. Li bacia. Si rifocilla e si idrata.

Dall'impresa impossibile nasce la "linea Calderan"

Quel cinico lembo di terra cambierà nome: lo chiameranno “Linea Calderan”. La sua impossibile impresa, oltre a riscrivere il perimetro dell’umana volontà, diventa testimonianza visiva fondamentale. Max rivela differenze morfologiche e ambientali rispetto a quel che suggerivano i satelliti. È il primo uomo di un nuovo pezzo di mondo.

Un esploratore sputato fuori dall’inferno per poterlo raccontare.

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