Politica

Archeologia, 5 arrestati e 51 indagati nel Casertano

Sgominata un'organizzazione di tombaroli e
recuperati reperti per un valore di un milione
di euro fra i quali due crateri a campana e 73
monete antiche. La banda operava in Campania
e nella Tuscia

È di cinque arresti, sette misure cautelari personali (divieto di dimora o obbligo di firma) e 51 indagati il bilancio dell'operazione dei carabinieri Patrimonio culturale che ha portato a smantellare una banda di tombaroli di Casal di Principe attiva nell'area dell'alta Campania (Caserta e Benevento) ma anche fra Roma e Viterbo. E forse collusa con la criminalità organizzata, visto che alcuni degli indagati sono stati già coinvolti in altre indagini per associazione camorristica e favoreggiamento della latitanza di esponenti del clan dei casalesi. L'inchiesta, coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, ha recupero di 633 reperti archeologici, per un valore di circa un milione di euro ed è partita nel 2009 in seguito alla scoperta di trafugamenti a Riardo, Teano, Calvi Risorta, Sant'Agata dei Goti e Montesarchio.
Decisivo è stato però il ritrovamento di un cappello, perso da un tombarolo in uno scavo clandestino nel Sannio. Dopo aver trovato il proprietario, i carabinieri sono riusciti a risalire ai suoi complici e a ricostruire tutto l'organigramma della struttura criminale: gli «scavatori», i fiancheggiatori (tra cui diversi incensurati), cui spettava occultare i reperti in attesa della vendita, gli artigiani (soprattutto pugliesi) addetti alla produzione di reperti falsi, da rivendere mescolati a quelli autentici, fino ai procacciatori e ai ricettatori, capaci di piazzare i pezzi più importanti anche all'estero.
I tombaroli, divisi generalmente in squadre da tre o quattro unità, si davano appuntamento in un bar di Casal di Principe, dove pianificavano gli obiettivi da «visitare» all'imbrunire, attrezzati di tutto punto: pale, picconi, lampade collegate a batterie d'auto e spilloni per controllare l'eventuale presenza di oggetti o cavità nel terreno, tali da indicare la presenza di reperti o tombe. Il giorno dopo, le aree trafugate si presentavano agli occhi degli investigatori e dei funzionari della Soprintendenza come un campo di battaglia. Una vera e propria groviera, con le buche scavate e parzialmente ricoperte, a volte lasciate perfino del tutto aperte, con tutti i rischi connessi per i proprietari dei terreni e gli animali da pascolo, senza contrare i danni provocati alle coltivazioni.
Fra il materiale recuperato nel corso delle perquisizioni, crateri a calice e a volute, skyphos, kylix, gorgoni, satiri e protomi femminili. E ancora, 1.050 frammenti, 31 reperti falsi, 73 monete antiche, cinque metal detector e 18 spilloni. Circa un milione di euro il valore complessivo. Le consulenze tecniche sui beni sequestrati hanno evidenziato la grande rilevanza archeologica di molti dei reperti recuperati, sia per le qualità artistiche che per le unicità delle decorazioni e la raffinatezza dei materiali impiegati. Tra queste, una oinochoe a figure nere del VII secolo a.C. e una a figure rosse del IV secolo a.C., con una particolare rappresentazione di un demone alato, attribuito al pittore di Napoli, e due crateri a campana a figure rosse, riconducibili, rispettivamente, al pittore di Dinos (420-450 a. C.) e al pittore di Caivano (340-330 a.

C.)

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