Arte

La pittura sta benissimo, ma i paesaggisti meno...

Il premio Morlotti Imbersago conferma un paradosso: i giovani amano difendere la natura ma non dipingerla

La pittura sta benissimo, ma i paesaggisti meno...

Pare che sia di rigoreiniziare ogni articolo che parli di pittura scrivendo che nonostante la pittura sia moribonda, soffocata da installazioni, video, Nft, performance, fate voi, la tal mostra, rassegna, fiera, ci dice invece che è viva, rinata, anzi in ottima forma, eccetera. Che noia.
Succedeva una cosa simile nella letteratura alla fine degli anni ’90, anche se allora in effetti c’erano i rimasugli del Gruppo 63 che pronunciavano orazioni funebri per il romanzo a ogni pubblica occasione, e così noi scrittori ci affannavamo a dire ma no, ma quale morte, non facciamo altro che scrivere romanzi, la gente non fa altro che leggerli, cosa andate farneticando? In realtà non c’era nemmeno bisogno di dirlo (chi se li filava più quelli del Gruppo 63 alla fine degli anni ’90?), così come oggi non c’è bisogno di ribadire che la pittura è in gran forma, che i collezionisti comprano soprattutto quella, che tra i giovani artisti predominano i pittori, e di nuovo eccetera eccetera. Diamolo per preso, possiamo? La pittura e il romanzo sono linguaggi inossidabili, gli artisti e gli scrittori non ci pensano nemmeno a smettere di usarli, probabilmente perché sono i linguaggi che è più divertente usare, e l’arte, e la letteratura, ci si può anche divertire a farle. Mica sono dei cilici da indossare.

Dunque parliamo con serenità di pittura oggi, anzi di giovane pittura oggi. Perché fino al 4 febbraio, a Milano, al Museo della Permanente, sono in mostra, con ingresso libero, i finalisti della 17esima edizione del premio Morlotti Imbersago, e sono tutti under 35. Lo richiede lo statuto del premio, che il comune di Imbersago, piccola cittadina affacciata sull’Adda, ha deciso di dedicare a Ennio Morlotti alla fine degli anni ’90, per celebrare con affetto il grande pittore lombardo, che a Imbersago visse a lungo. È un piccolo premio, non tra i più noti, ma con più di un punto a suo favore. Per cominciare il fascino di Morlotti, nato nel 1910 a Lecco, morto nel 1992 a Milano, che pur non essendo mai stato una grande celebrità, ha sempre ricevuto stima e ammirazione, prima dagli artisti suoi coetanei, poi da quelli delle nuove generazioni, e oggi è collezionato con quotazioni di tutto rispetto, soprattutto per il suo periodo più legato al paesaggio e alla natura, gli anni a cavallo tra i ’50 e i ’60, quando dipingeva con uno stile figurativo che slittava verso l’informale. Altro punto a favore del premio, la tradizione. Nato nel 1996, annuale fino al 2005 e poi biennale, ha messo in fila diciassette edizioni, che hanno visto tra vincitori e finalisti artisti come Giovanni Frangi, Luca Pignatelli, Marco Petrus, Velasco Vitali, Manuele Cerutti.

In più, dalle ultime due edizioni conta anche sull’esposizione delle opere dei finalisti nella vetrina prestigiosa del Museo della Permanente di Milano. In questa edizione numero 17 (il bando per la 18esima sta per uscire) ci sono stati tre premi principali: uno assegnato alla carriera, categoria di istituzione recente del Morlotti, che è andato a Luisa Pescador. I due primi premi della sezione principale, quella riservata agli under 35, sono andati invece a Zuzana Pernicová (1987 Brno, Repubblica Ceca) e a Maurizio Pometti (1997, Catania). I due premiati sono ben scelti, sono freschi e originali e brillano di luce propria. Ma invece quanto è stato difficile selezionare i dodici finalisti esposti in Permanente? Insomma, quanti sono stati i partecipanti a questa edizione, tra cui fare una scrematura? All’inaugurazione ho girato la domanda a Giorgio Seveso, giurato e curatore della mostra. Gli iscritti al premio sono stati poco più dei finalisti, mi ha risposto.

Ma come? Eppure l’iscrizione è gratuita, si può vincere una cifra ragionevole, mille euro ai primi due classificati, e la storia del premio, l’abbiamo detto, è prestigiosa.

Nelle edizioni precedenti, mi ha detto ancora Seveso, gli iscritti erano stati molti di più. Addirittura? Non è che allora mi sono sbagliato e il dare per scontata l’ottima salute della pittura sia un errore? Ma credo di aver capito: è colpa del tema di questa 17esima edizione. «Paesaggio Alternativo».

La pittura è in eccellente stato di salute, ma la pittura di paesaggio no. Gli ultimi anni hanno visto un’esplosione di giovani artisti che si dedicano alla figura, o per meglio dire alla sfocatura, alla distorsione, talvolta alla brutalizzazione della figura umana, in risonanza con l’angoscia, l’incertezza, e la cupezza dei nostri tempi. Il paesaggio, se me lo lasciate dire con poco garbo, è fuori moda. Prendo un esempio recente e autorevole: Pittura Italiana Oggi, la collettiva aperta al Palazzo della Triennale di Milano fino al 14 febbraio. Tra i 120 artisti selezionati, di paesaggisti in senso stretto ci sono Pierpaolo Curti, Valentina d’Amaro, Pierluigi Pusole, Andrea Chiesi, Enrico Tealdi, non a caso tutti old school, cioè Generazione X, insomma ex-ragazzi ormai oltre i cinquant’anni o lì vicino, e al gruppo si aggiungono i quarantenni Thomas Braida e Linda Carrara, e un’unica trentenne, Alice Faloretti.

Artista, la Faloretti, che ritrovo anche in 222 Artisti Emergenti Su Cui Investire/2024, catalogo edito da Exibart, che elenca appunto 222 giovani artisti di sicuro interesse. Ne ho già parlato su queste pagine, chiedo scusa, ma citarlo mi serve per sottolineare che la pittura stravince, rappresenta il 43% degli artisti inclusi (la famosa buona salute), ma di questi 96 su 222 pittori e pittrici, oltre ad Alice Faloretti ci sono solo Marco Mastropieri e Riccardo Vicentini che dipingono paesaggi. Aggiungo altri artisti over 30 fuori dai due elenchi che frequentano volentieri il paesaggio, come Francesco Zanatta e Massimiliano Zaffino, ma di giovanissimi mi vengono in mente solo Valentina Cima (1998) e Hugo Ciappi (2000).

Certo che è curioso: l’ambiente, la natura, il clima, sono temi che stanno molto a cuore ai più giovani. Eppure la Generazione Z, insomma chi è nato tra la fine dei ’90 e il primo decennio del 2000, snobba il campo d’espressione naturale per questi temi, la pittura di paesaggio.

Poi magari va a imbrattare un paesaggio di Van Gogh o di Constable, ma lì non si tratta di arte, anche se somiglia a una brutta performance.

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