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Il Sant’Antonio di Sutri benedica quest’anno

La sua campanella serve a scacciare il Demonio Speriamo protegga anche dai falsi amici...

Il Sant’Antonio di Sutri benedica quest’anno

A Sutri, sopra ogni altro, anche su Santa Dolcissima, la vergine patrona, prevale il culto di Sant’Antonio.
Un culto profondo, di popolo. A Sutri, ma anche a Novoli, dove sono stato davanti a un grande incendio, a Tricarico, a Colli del Volturno, a Misterbianco.

«Sant’Antoni dal Campanel»: nella mia memoria di bambino questo nome ritmato si è impresso nel dialetto ferrarese che non ho mai parlato. Il nome usciva dalla bocca di mia madre come un’esclamazione, introducendo l’immagine popolare di un Santo vecchio, barbuto, curvo, con il saio, un maialino che l’accompagnava e un bastone da cui pendeva il «campanel». L’immagine aveva una universalità che intuivo dallo slancio con cui mia madre pronunciava il nome dell’insolito Santo. Non mi stupisce, quindi, di trovarlo a Sutri, con una festa di popolo che mi è stata descritta fin dal mio primo arrivo lì, per diventarne sindaco.

Entrai nella casa dove è ora l’altare di chi custodisce oggi l’immagine del Santo.
La festa prevede la sfilata storica delle cavallerie delle due società - «l’Antica e la Nuova» che si snoda per le vie del centro. I cavalieri sfilano sui loro cavalli, a due a due, per ritrovarsi sotto la casa del «festarolo» uscente, che ha conservato lo stendardo del santo per tutto l’anno, il quale, prendendo posto in cima al corteo, sfilerà fino alla piazza dove, dopo aver ricevuto la benedizione, passerà lo stendardo al nuovo Granarolo sorteggiato dalla società di appartenenza. Questi allestirà nella propria abitazione un altare per accogliere in preghiera tutti i cittadini che vorranno far visita al santo, ai quali verranno offerti dolci e bevande, per tutti gli otto giorni della festa, al grido di: «EVVIVA SANT’ANTONIO!!!».

La festa cade poco dopo l’Epifania, il 17 gennaio, il giorno della morte di Sant’Antonio nel deserto della Tebaide nel 356 dopo Cristo. Non so perché sia così forte il culto di Sant’Antonio a Sutri, ma posso immaginarlo per la configurazione della sua necropoli che ricorda le grotte degli eremiti alle origini del monachesimo. In qualche modo la sua esperienza di fede anticipa quella di Francesco, che lascia tutto ai poveri. Antonio era nato a Coma, in Egitto, intorno al 251, di ricca famiglia di agricoltori. Rimasto orfano prima dei vent’anni, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore, sentì presto di dover seguire l’esortazione evangelica: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri». Così, distribuiti i beni ai poveri e affidata la sorella a una comunità femminile, seguì la vita solitaria che già altri anacoreti facevano nei vasti deserti attorno alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e castità.

Il suo destino fu un continuo peregrinare solitario, ritirato dal rumore del mondo ma esposto alle tentazioni del demonio, come le inquietanti allucinazioni, fermandosi in luoghi aspri, scomodi e difficili. Nei primi anni della sua lunga vita ebbe tentazioni fortissime, per resistere alle quali si allontanò dalla vita sociale e visse nelle tombe tra le rupi. Proprio come nelle tagliate e nelle necropoli di Sutri. Nella Vita di San Paolo eremita scritta da San Girolamo, si racconta dell’incontro nel deserto con Paolo di Tebe, con l’episodio del corvo che porta dal cielo un pane, e anche della consuetudine di Antonio di dormire coperto da un ruvido panno, in una tomba scavata nella roccia. Qui sarebbe venuto a tentarlo il demonio, lasciandolo spesso privo di sensi, sconvolto.

Nei suoi lunghi anni di penitenza, assalito dai dubbi, chiedeva conforto ad altri eremiti, che gli consigliavano di staccarsi ancora più radicalmente dal mondo. Allora, coperto da un rude panno, si chiuse in una tomba scavata nella roccia nei pressi del villaggio di Coma. In questo luogo sarebbe stato aggredito e percosso dal demonio; senza sensi, raccolto da persone che si recavano alla tomba per portargli il cibo, fu trasportato nella chiesa del villaggio, dove si riprese. Con il tempo molte persone vollero stare vicino a lui e lo liberarono dal suo rifugio. Antonio allora si dedicò a lenire i sofferenti operando, secondo tradizione, «guarigioni» e «liberazioni dal demonio», e annunciandosi con il suono del suo «campanel».
Un santo taumaturgo. Che ancora passeggia per le strade di Sutri, dorme nelle protettive grotte della necropoli, e vi attende al Mitreo, per proteggere il fuoco.

L’ho scelto per gli auguri del nuovo anno nei quali ho assunto una benevolente saggezza, dopo l’esperienza di tanto insolente crudeltà: «Per il 2024 vi auguro innanzitutto tanta salute, senza la quale il resto conta poco. Vi auguro di non incontrate cretini, falsi amici e perditempo. Vi auguro di godere delle cose semplici, come lo possono essere la luce di un’alba o quella di un tramonto. Vi auguro di cercare la bellezza, che non è il lusso. Vi auguro di ascoltare chi ha un problema anche quando sai che non potrai aiutarlo a risolverlo.

Vi auguro di sorridere e di regalare un sorriso anche quando le vicende della vita ci riservano dolori e delusioni. Vi auguro di non tradire l’amicizia di un amico. Vi auguro di amare e di essere amati. Vi auguro di essere curiosi, ma non pettegoli. Vi auguro di cercare la verità, sempre, anche quando qualcuno cerca di intorbidirla con il sospetto e la menzogna. Vi auguro di essere fiduciosi, sempre, anche nelle circostanze più difficili. Vi auguro di cercare appagamento nelle cose che arricchiscono il nostro spirito e formano la nostra personalità. Vi auguro un mondo di bene, anche quando il mondo in cui viviamo non ci risparmia gli orrori di un passato che ritorna. Vi auguro di essere lieti anche nella solitudine». Sono le parole che avrà detto Antonio incontrando Paolo nel deserto della Tebaide, senz’altro sostegno che la forma di pane portata dal corvo. Essere felici senza avere niente. E rendere sensibili anche i corvi.

Questo è il fuoco d’amore di Sant’Antonio.

E nella notte imminente, tra il 16 e il 17 gennaio, l’usanza vuole che si accendano grandi falò in tutta Italia di fronte alle chiese dedicate al culto di Sant’Antonio, in quanto si dice che Sant’Antonio Abate sia custode del fuoco.

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