La stanza di Feltri

Il rischio di sembrare una civiltà debole

Qui non si scherza con il fuoco. Peggio, si scherza con armi nucleari

Il rischio di sembrare una civiltà debole

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Il rischio di sembrare una civiltà debole

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Caro direttore Feltri,
lei ha paura che tutti questi focolai di guerra a noi non troppo lontani possano trascinarci nel baratro della guerra globale?
Federico De Martino

Caro Federico,
potrei adottare un'ottica cinica ed egoistica e dirti che non me ne frega nulla se a breve questi stupidi esseri umani si saranno tanto odiati da annientarsi reciprocamente, ché tanto io la fetta più importante della mia vita l'ho vissuta. Invece, sono molto preoccupato. Non facciamo altro che discutere e colpevolizzarci per il clima distrutto che lasciamo in eredità alle nuove generazioni, circoliamo in bicicletta e sul monopattino per porre argine all'inquinamento e migliorare il globo, vogliamo le case green, l'auto green, il cibo green, intanto progrediamo allegramente verso il conflitto mondiale che cancellerebbe in un baleno non soltanto l'ecosistema che dichiariamo di volere salvaguardare ma anche il pianeta e la civiltà. Stiamo assistendo ad una escalation di imbecillità generale. I grandi del mondo e anche i piccoli stanno giocando a chi ce l'ha più grosso. Peccato che in gioco sia la nostra pellaccia, non la loro. Attenzione. Qui non si scherza con il fuoco. Peggio, si scherza con armi nucleari. E siamo arrivati a questo punto pure velocemente, quasi senza rendercene conto, un punto che ieri ci sembrava impossibile sfiorare. Ragiona: ci siamo già abituati a questa atmosfera di guerra. E alto è il rischio che essa ci entri in casa. Siamo tutti quanti a un passo dal precipizio.

Ho sempre pensato che toccato l'apice, ossia il punto di massima tensione, il buonsenso avrebbe indotto gli attori coinvolti ad adottare la moderazione, a darsi insomma una calmata, una regolata. Ma ogni dì i fatti di cronaca smentiscono questa mia ingenua convinzione. A me pare che l'apice sia già stato raggiunto e che da entrambe le parti si faccia di tutto per snervare l'avversario con una serie di provocazioni sempre più forti. E questo accade sul fronte ucraino come su quello israeliano. Quest'ultimo ora è quello che mi agita di più, anche perché la guerra che si combatte laggiù è la guerra non convenzionale per eccellenza, la quale può essere combattuta ovunque poiché non si tratta semplicemente di uno scontro tra due Paesi che rivendicano un pezzo o più pezzi di territorio - magari si riducesse tutto a questo -, bensì di uno scontro di civiltà, ossia di due opposte culture e religioni, due differenti stili di vita e mentalità: da un lato, quella occidentale; dall'altro, quella islamica. E i semi di questo conflitto sono già in casa nostra, tanto che l'allerta è massima ovunque, Italia inclusa. Sono i semi dell'odio islamico, di cui mi parlava la mia amica Oriana Fallaci mettendomi in guardia da ciò che sarebbe stato e che oggi è, odio nei nostri confronti, intolleranza nei riguardi dei nostri costumi, giudicati degenerati, della nostra fede, delle nostre regole, delle nostre libertà, insofferenza verso la civiltà occidentale. I missili su Israele sono missili lanciati contro un modello culturale che si vorrebbe abbattere perché è superiore a quell'altro modello che non conosce diritto, legge, libertà, democrazia, uguaglianza e parità di genere. E questa stessa lotta per la supremazia emerge nelle nostre città, nel centro e nelle periferie. Non si mira a conquistare una striscia di terra, lo ripeto, si mira ad affermare la supremazia di un sistema di valori sull'altro, di una fede sull'altra, di un patrimonio culturale sull'altro. L'Occidente tutto si è piegato per sottrarsi a questo ring, abbiamo rinunciato spesso a nostri simboli, principi, tradizioni, per dare spazio a quelli degli ospiti, per non offendere questi ultimi, per non turbarli, per non metterceli di traverso, ma questa scelta, cioè questa nostra arrendevolezza, non soltanto si è dimostrata essere una strategia del tutto inutile, ma anche ci ha reso più deboli. Ha indotto chi ci odia a percepirci come una civiltà al tramonto, al collasso, finita, fragile, decaduta.

Abbiamo offerto il fianco.

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