Cultura e Spettacoli

Auguste Rodin, un Michelangelo della modernità

Sul crinale dei secoli, tra l’inizio di Donatello e la fine delle avanguardie, tra la strepitosa avventura della scultura italiana e il dissolvimento forse naturale - o forse no - che il Novecento impose alla scultura europea, Auguste Rodin sta, con la sua bravura, il suo cinismo, la sua fama, il suo ardore, il suo funerale.
Auguste Rodin (1849-1917, le opere del quale possiamo ammirare nella mostra «Le origini del genio», agli Spazi Arte Legnano, fino al 20 marzo, catalogo Allemandi) raccolse le eredità e i vezzi del secolo da cui proveniva per trasformarli a modo suo, soltanto suo. Era stato per anni allievo di Carrier-Belleuse, un uomo che aveva già imparato il sistema moderno di trasformare il capolavoro in soprammobile, eppure conosceva bene la scultura antica e moderna, e i gusti del nuovo popolo di collezionisti che stava incalzando. Rodin irrompe su questo crinale e impone il suo genio, la sua tecnica coltivata per anni studiando e lavorando, come il bel saggio in catalogo di June Hargrove dimostra. E tutto ricomincia da capo. Ritornano Donatello e Michelangelo, perché Rodin li contempla da giovane, e poi i monumenti, perché glieli commissionano, e i fallimenti, le cause, le denunce, perché i tempi sono cambiati e ognuno è ammesso a dire la sua, come mai prima.
Rodin e Claude Monet nascono nello stesso, il 1840, a due giorni di distanza, 12 e 14 novembre. Incarneranno entrambi i destini delle reciproche arti; concludono l’arte antica e sentono il futuro: sono longevi, lavoratori, insoddisfatti, ostinati. Rodin guarda al passato e trova ragioni nuove. E le trova mentre il concetto stesso di monumento sta cambiando profondamente. E allora, problemi e sempre problemi, coi Borghesi di Calais, col Balzac.
Che cosa vuol celebrare un’Europa che si sta sfaldando nella politica come nella scultura? Rodin fa fare dal sarto di Balzac una veste da camera come quella che usava lo scrittore. Tra l’amore giovanile per Donatello e lo sfacelo che attende tutti, Rodin sfalda i lembi di un vecchio cappotto per aprire agli incolti la comprensione di Balzac. La getta addirittura nel gesso. E non andrà bene a nessuno perché la statua verrà rifiutata dai committenti e sarà fusa in bronzo ventidue anni dopo la morte dell’artista. Così fu per il Victor Hugo. Invece la storia dirà che ha ragione lui. Anche troppo.
Divisa in sezioni, la mostra di Legnano - la più ricca che si sia mai vista in Italia - racconta la vicenda dello scultore dai quattordici anni alla vecchiaia, passando attraverso l’Età del Bronzo, il San Giovanni Battista, due versioni di misura diversa del Pensatore, i rari dipinti, paesaggi e studi d’après. Rodin riscopre la forma antica, rinascimentale e classica, dopo le divagazioni rococò e rocaille, e la offre al futuro. Il suo non-finito non significa il tormento esistenziale e morale di Michelangelo, da cui pure dipende, ma è un modo per raccordare i corpi all’aria, allo spazio circostante, per avvolgerli di verità. Il suo rapporto con Michelangelo lo vede avvicinarsi al grande antico anche nella difficoltà di portare a termine i lavori. «Per Rodin la componente dell’aria è stata sempre d’importanza decisiva», spiegò Rainer Maria Rilke, che da giovane gli fece da segretario, prima di votarsi a Paul Cézanne, alla poesia. Rodin s’impossessa della scultura come nessuno ha fatto mai, se non Michelangelo, la legge come un libro aperto, da Ghiberti a Bourdelle. Adopera il lavoro degli altri come pochi hanno osato fare. Costruisce il monumento a se stesso, futuro Musée Rodin, mentre è in vita. È egoista, traditore, va dritto allo scopo. «Era ignorante» diceva Antoine Bourdelle. «Parlava molto e parlava bene ma era ignorante». Pensava in argilla, disse Rudolf Wittkover, «sentiva l’argilla, maneggiava l’argilla». Non lavorava volentieri la pietra. Aveva stuoli di allievi e collaboratori, amanti e lavoranti che lo facevano per lui.
È il solo scultore europeo che abbia il coraggio di raccogliere il lascito di Michelangelo. Di ripartire da lì. Michelangelo non aveva avuto veri e propri seguaci: né la Rondanini poteva avere un sèguito. Michelangelo è senza eredi, in tutto, aveva risucchiato dai linguaggi tutto ciò che poteva, compreso se stesso. E così, Rodin non avrà allievi. Mentre lui pensa l’argilla, nasce la «modernità» che cerca di sciogliere l’argilla a un’altra temperatura. Come faceva, a poche strade di distanza da lui, l’italiano Medardo Rosso.
Rodin e Rosso ebbero un’amicizia, un carteggio, si scambiarono idee e consigli. Poi, come fa con tutti, Rodin chiude. Rosso non è artista di Stato, ma fa la stessa cosa negli stessi tempi. Da italiano: non ha nessuno, mai, che lo protegga o l’aiuti. Il 30 aprile del 1898 nasce la polemica sui reciproci debiti, su chi ha iniziato, si diceva, con «l’impressionismo in scultura». I rapporti si cominciano lentamente a logorare, Rosso perde, naturalmente. Entrambi pensavano alla figura nello spazio, cercavano di solcare l’aria per costruire l’ambiente. Entrambi vogliono spezzare l’antico distacco tra la scultura e lo spettatore.
Ma Medardo Rosso, solo e sifilitico, muore poverissimo e irriso, mentre Rodin, che non aveva finito la Porta dell’Inferno, né il Balzac né l’Hugo, quando muore, viene celebrato dal funerale di Stato. E l’Hotel Biron lo aspetta. Rosso muore undici anni dopo. Carlo Carrà è il solo amico presente, e riesce a far pagare, all’ultimo, il funerale al Comune di Milano.

LA MOSTRA «Rodin. Le origini del genio». Legnano, Spazi Arte. Fino al 20 marzo. Catalogo Allemandi. Sito Internet: www.mostrarodin.

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