Serialità

"Basta bello e dannato. Mi libero del passato e mi rimetto in gioco"

Dopo otto anni l'attore torna nelle serie Mediaset. Se potessi dirti addio: "È il ruolo giusto"

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La condanna di essere bello. Ma soprattutto famoso. «Dopo aver fatto Sanremo nel 2016 capii di essere al top confida Gabriel Garko -. Non avrei potuto esserlo più di così. E allora staccai. Ero arrivato talmente in alto che sentivo di dovermi allontanare da tutto». Ecco spiegati gli otto, lunghi anni di assenza del Principe del melò (come lo definisce il direttore di Canale Cinque, Scheri) dalle serie Mediaset delle quali, pure, era il dominatore incontrastato. «E ora vorrei chiudermi in una stanza per non vedere nessuno, e saltare a lunedì, quando tutto sarà passato», sospira, alludendo alla messa in onda, domani sera su Canale 5, della serie del «gran ritorno», Se potessi dirti addio, tre puntate dirette da Simona Izzo e Ricky Tognazzi.

E perché tanta ansia?

«Sento l'attesa attorno a me, sento la tensione. Sono tanti anni che manco. Poi no, penso: questo ritorno devo godermelo. Anche perché non avrei potuto trovare ruolo più adatto: totalmente opposto a quelli che mi hanno reso famoso. In melò come L'onore e il rispetto o Il peccato e la vergogna facevo sempre il bello e dannato: pettinatissimo, accuratissimo. E poi forte, sicuro di me. Qui invece appaio trasandato, incerto, confuso. E fragile. Quello che ci voleva per spogliarmi del passato e rimettermi in gioco in modo diverso».

Che tipo di storia è Se potessi dirti addio?

«Un melò-thriller che Simona Izzo ha scritto ispirandosi a classici come Io ti salverò, Marnie, Una magnifica ossessione. Racconta di una psicoterapeuta (Anna Safroncik) che cerca giustizia per il marito morto, e di un uomo smemorato, da lei curato, che deve ritrovare il proprio passato. Lei non sa dimenticare; lui non riesce a ricordare. Così le due indagini s'intrecciano l'una nell'altra, assieme ad una storia d'amore».

Perché ha atteso tanto, prima di ritornare a girare? C'entra forse l'«Ares Gate», lo scandalo che nel 2019 travolse la casa di produzione di Alberto Tarallo, realizzatrice di molte delle sue fiction di successo?

«No, quella triste vicenda non ha inciso sulle mie scelte. So cosa hanno pensato tutti: Quando la barca affonda i topi scappano. Ma non è così. Non ne ho mai parlato, ma ora posso dirlo: già da tempo mi ero staccato da quel mondo. Il fatto è che se la popolarità è facile da raggiungere, difficilissimo è mantenerla. Devi saper staccare al momento giusto, e riapparire solo quando ne vale la pena. Dopo Sanremo ero sulla vetta. Avevo bisogno di allontanarmi, soprattutto per la mia serenità. Proposte ne ricevevo tante, ma nessuna mi convinceva. E alla fine ci si è messo anche il Covid, ad allungare i tempi del rientro».

E ora, oltre al ruolo più maturo, le piacerebbe se dicessero che lei è maturato anche come attore?

«Ma la bravura di un attore va e viene! E poi dipende anche dalle sceneggiature, dai registi... Quando feci Le fate ignoranti con Ozpetek, 24 anni fa, per tutti ero bravissimo. Poi, con L'onore e il rispetto, all'improvviso ero diventato un cane. Io non penso di essere stato poi così male. Era il genere di quei prodotti, piuttosto, il melò, ad infastidire la critica».

E per il futuro? Qual è il suo prossimo obiettivo?

«La serenità. È la cosa che voglio di più. Nel lavoro e nella vita privata. Oggi mi circondo solo di affetti sinceri. Non voglio più attorno a me persone che ti succhiano l'anima. Ne ho avute tante addosso. Troppe.

E per troppo tempo».

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