Arte

Beatrice e la nuova Quadriennale: "Una mostra sul nuovo millennio"

Il neopresidente: "Prepariamo una rassegna sui 25 anni di questa istituzione: un quarto di secolo in cui la realtà è radicalmente mutata"

Beatrice e la nuova Quadriennale: "Una mostra sul nuovo millennio"

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«Sono contento di tornare a Roma, città in cui ho vissuto negli anni Novanta per il tempo di sposarmi e fare una figlia (la prima di quattro, ndr)», ci dice al telefono Luca Beatrice, da poco nominato presidente della Quadriennale. Torinese, 62 anni, docente, giornalista (firma di Libero), già presidente del Circolo dei Lettori e curatore, con Beatrice Buscaroli, del Padiglione Italia per la Biennale del 2009 («Trentacinque anni di insegnamento, niente lauree false, niente tasse non pagate: aggiungiamolo») da neopresidente promette: «Continuerò a essere quel che sono». E, a chi ha sollevato polemiche sulla sua nomina, risponde: «Ho ricevuto un sacco di complimenti. Poi ci sono stati due quotidiani che hanno tirato fuori un mio articolo dell'estate del '22 in cui commentavo il matrimonio Pascale-Turci e teorizzavo la crisi del maschio di oggi. Ma quello l'ho scritto da giornalista, dai, si gioca anche sulla provocazione. Altra cosa è presiedere un'istituzione culturale». Ecco quindi che cosa dobbiamo aspettarci dalla «sua» Quadriennale: «Abbiamo un anno di tempo, cioè poco, per mettere in piedi nel 2025 una grande mostra sui 25 anni di questa importante istituzione italiana. È passato un quarto di secolo dal nuovo millennio. Abbiamo iniziato con la lira e col trauma delle Torri Gemelle, ora c'è l'euro e la situazione non promette bene: l'arte che ha fatto nel frattempo? Credo sia giunto il momento di raccontarlo».

Il ruolo di una istituzione come la Quadriennale, secondo Beatrice, è quello di «realizzare uno screening ravvicinato su ciò che sa succedendo nel mondo dell'arte italiana» e per questo «è importante il coronamento con una grande mostra». Ma, appunto, che cosa dire dello stato di salute dell'arte in Italia? «Oggi è difficile parlare di arte italiana perché viviamo in una realtà complessa, in cui ci si sposta di continuo - dice Beatrice - Certamente, lavorare in Italia per un artista significa agire in un luogo dove la presenza del passato è molto evidente». Meno evidenti eventuali filoni: c'è piuttosto «una realtà frastagliata, in movimento. Son finiti i tempi novecenteschi dei gruppi: oggi ognuno viaggia da solo. E poi gli artisti travalicano i mezzi, i linguaggi. Ci sono meno etichette». Secondo Beatrice non esiste una capitale dell'arte contemporanea in Italia: «Torino, Milano, Roma, Napoli: tutte potrebbero ambire ad esserlo. Rispetto ad altri Paesi, l'Italia è policentrica e un ruolo importante lo ha anche la provincia. La Galleria Minini sta a Brescia, Continua a San Giminiano»... Un po' di arte italiana in più gli sarebbe piaciuta anche alla Biennale di Pedrosa: «Sono curioso rispetto alla quantità di artisti che ha scelto, di cui non ne conosco l'80 per cento. Dal punto di vista ideologico non mi trova allineato, ma questo non è un mistero. Mi sarebbe però piaciuto vedere maggiori presenze italiane, non solo defunte, nella sua mostra. In generale, mi pare un taglio snob. Sarebbe bello che in futuro i direttori designati non venissero con la lista della spesa degli artisti già in tasca, ma facessero prima un po' di studio-visit in Italia. Accade lo stesso in tutte le biennali degli altri Paesi. A questo proposito mi piacerebbe confrontarmi con il neopresidente Pietrangelo Buttafuoco per far tornare in una posizione centrale, ai giardini, il Padiglione Italia».

Infine, «da buon sabaudo puntualissimo», della nuova avventura romana «tutto lo entusiasma», ma se deve dire quale sia la mostra preferita dell'ultimo anno non ha dubbi: «Quella sui Cccp a Palazzo Magnani di Reggio Emilia: un capolavoro per noi vecchi punkettari»..

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