Cultura e Spettacoli

Belle, pericolose e gli dicono sempre sì

Massimo Bertarelli

In ventidue film James Bond si è, per così dire, spupazzato ventidue superfemmine. Anzi no. I conti non tornano. Per difetto. Nel senso che, beato lui, spesso ce n’era più d’una a pellicola. A parte il caso limite di Casino Royale (1967), considerato dai puristi estraneo alla saga perché esageratamente farsesco, che nel cast ne metteva in (bellissima) mostra addirittura una mezza dozzina: Ursula Andress, Joanna Pettet, Daliah Lavi, Jacqueline Bisset e Barbara Bouchet, per tacere della stagionata ma ancora ben conservata Deborah Kerr.
Prendendo la lunghissima serie dall’inizio, ovvero da Agente 007 - Licenza d’uccidere (1962), si rischia di mettere subito in crisi tutte le Bond girl che sono venute dopo. Già, perchè la primissima amichetta del superspione inglese, impersonato da un giovane Sean Connery, fu Ursula Andress. Una sventola di ragazza che avrebbe certo costretto l’Orson Welles di Il terzo uomo a rimangiarsi il sarcastico giudizio sulla Svizzera («Cinquecento anni di pace per fare un orologio a cucù»).
La bionda bernese Ursula che esce dalle acque della Giamaica con il bikini bianco è roba da restare a bocca aperta per l’intero secondo tempo: anche la Venere del Botticelli arrossirebbe da un confronto che la vedrebbe medaglia d’argento.
Tante fanciulle in fiore sono state reclutate per fare da dolce partner agli 007 successivi. Né lo scozzese Connery né l’inglese Roger Moore, neppure il gallese Timothy Dalton e neanche l’irlandese Pierce Brosnan possono lamentarsi: a ogni film un’accompagnatrice da leccarsi i baffi. I produttori britannici hanno suddiviso equamente le bambole tra i quattro divi provenienti da ogni parte del Regno Unito, lasciando spiazzato il solo George Lazenby, non per nulla australiano, protagonista del modesto Agente 007 - Al servizio di Sua Maestà (1969). Oltre alla pellicola più loffia gli è toccata anche la ragazza meno attraente, Diana Rigg, proveniente dal telefilm Agente speciale. Per carità, carina, ma non una da voltarsi per strada.
Al contrario di tutte le altre, davvero da torcicollo: dalla miss italiana Daniela Bianchi, ma sovietica per contratto, la Tatiana Romanova di Dalla Russia con amore (1963), il secondo capitolo delle avventure bondiane, per finire con la pantera nera Halle Berry, la Jiinx di La morte può attendere (2000), ultima, al momento, nel libro d’oro. E in mezzo a loro quante signorine grandi forme: Honor Blackman, la Pussy Galore di Missione Goldfinger (1964); Claudine Auger, la Domino di Thunderball (1965); Britt Ekland la Mary Goodnight, un nome che è tutto un programma, di L’uomo dalla pistola d’oro (1974); Barbara Bach, l’Anya Armasova di La spia che mia amava (1977); Barbara Carrera e Kim Basinger (insieme!), rispettivamente la Fatima e la Domino di Mai dire mai (1983), rifacimento semiapocrifo di Thunberball; Tanya Roberts, la Stacey Sutton di Bersaglio mobile (1985); Sophie Marceau, la Elektra King di Il mondo non basta (2000).


Svedesi, francesi e americane; bionde, brune e rosse. James Bond, grande intenditore del sesso debole, non fa differenze di nazionalità o di chioma. Basta che siano belle. E pazienza se alcune non sono buone. Di cuore, s’intende.

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