Benessere

Alzheimer, l'isolamento sociale è un fattore di rischio

Secondo la scienza l'isolamento sociale fa male e aumenta altresì le probabilità di soffrire della forma di demenza più diffusa al mondo

Alzheimer, l'isolamento sociale è un fattore di rischio
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Nel 1906 il neuropatologo e psichiatra tedesco Alois Alzheimer descrisse per la prima volta il disturbo che prese poi il suo nome. Stiamo appunto parlando del morbo di Alzheimer, una malattia neurodegenerativa caratterizzata da una graduale e irreversibile perdita delle funzioni cognitive. Tratto saliente della stessa è l'atrofia cerebrale particolarmente marcata nell'ippocampo e nell'amigdala. Se all'interno dei neuroni si evidenzia la presenza di placche del cosiddetto peptide beta-amiloide, esternamente, invece, sono stati individuati ammassi neurofibrillari di proteina Tau iperfosforilata.

L'Alzheimer interessa nella maggior parte dei casi individui anziani e sono rare le diagnosi in soggetti con meno di 65 anni. Ha suscitato molta apprensione la storia del ragazzo più giovane al mondo affetto dal morbo. Il paziente, che attualmente ha 19 anni, a partire dall'età di 17 anni ha cominciato ad avere difficoltà di concentrazione. Le capacità di memoria nel tempo si sono affievolite e lo hanno costretto ad abbandonare gli studi.

Ma esiste un modo per prevenire questa patologia? Per gli scienziati dell'Università di Otago (Nuova Zelanda) potrebbero bastare sei minuti di pedalata al giorno. L'esercizio fisico ad alta intensità infatti, come abbiamo spiegato in questo articolo, incrementa la produzione di una proteina essenziale per l'apprendimento e per la memoria, il cosiddetto fattore neurotrofico derivato dal cervello.

Le cause del morbo di Alzheimer

Con circa 24 milioni di persone malate in tutto il mondo, il morbo di Alzheimer è la forma di demenza più diffusa in assoluto. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità il numero è destinato a salire con inevitabili ripercussioni psicologiche su figure essenziali per la quotidianità dei pazienti, i caregiver. Fare luce sulle cause ancora purtroppo ignote del disturbo è dunque fondamentale. Attualmente si ritiene che la sua insorgenza sia l'esito di una combinazione di fattori genetici e ambientali.

Da un punto di vista genetico la patologia è connessa con la mutazione di alcuni geni: APOE-e4, APP, PSEN1, PSEN2, C4A, PVRL2 e APC1. Recentemente è stato altresì scoperto il legame tra l'Azheimer e la proteina Medin grazie ad uno studio condotto dagli scienziati del Centro tedesco per le malattie neurodegenerative e pubblicato sulla rivista Nature. Attenzione poi ai fattori di rischio:

  • Sesso femminile
  • Età avanzata
  • Traumi alla testa
  • Ipertensione
  • Declino cognitivo tipico della vecchiaia
  • Diabete di tipo 2
  • Ipercolesterolemia
  • Sindrome di Down
  • Fumo di sigaretta.

I sintomi del morbo di Alzheimer

La sintomatologia del morbo di Alzheimer varia a seconda delle fasi della malattia. Fatta questa premesse è possibile dunque distinguere diversi sintomi a seconda della fase della malattia.

  • Sintomi della fase iniziale: piccoli problemi di memoria a breve termine, lievi cambiamenti di personalità, mancanza di iniziativa, ripetizione delle domande, mimime difficoltà di linguaggio, di calcolo e di ragionamento;
  • Sintomi della fase intermedia: problematiche di memoria a lungo termine, sbalzi d'umore, ansia, depressione, atteggiamenti ossessivi, disorientamento spazio-temporale, insonnia, allucinazioni uditive, perdita di parte delle abilità cognitive;
  • Sintomi della fase finale: totale compromissione delle facoltà cognitive, delirio, dimagrimento, perdita del controllo motorio e della funzionalità intestinale e vescicale.

Ma è possibile pronosticare il disturbo? Nel 2021 i ricercatori dell'Università di Kaunas (Lituania) hanno sviluppato un modello basato sull'apprendimento profondo in grado di prevedere la possibile insorgenza dell'Alzheimer dalle immagini del cervello e con una precisione superiore al 99%.

L'Alzheimer e l'isolamento sociale

Gli scienziati della McGill University hanno scoperto che l'isolamento sociale è un fattore di rischio per il morbo di Alzheimer. Lo studio, guidato dalla dottoressa Kimia Shafighi, è stato pubblicato su PLOS ONE. Per l'indagine il team ha analizzato i dati di 502.506 partecipanti alla Biobanca del Regno Unito e quelli di 30.097 soggetti iscritti al Canadian Longitudinal Study of Aging. Entrambe le ricerche avevano questionari con domande sulla solitudine, sulla frequenza dell'interazione sociale e sul supporto sociale.

I ricercatori sono giunti alla conclusione che sia la solitudine che la mancanza di supporto sociale sono fattori di rischio per la demenza. In particolare l'isolamento era più frequente negli individui che fumavano in maniera eccessiva, che eccedevano con l'alcol, che sperimentavano disturbi del sonno e che facevano poco sport. Dal Canadian Longitudinal Study of Aging è emerso che la pratica dell'esercizio fisico in compagnia era associata a una diminuzione del 20,1% della probabilità di sentirsi soli e del 26,9% di avere uno scarso supporto sociale.

Quest'ultimo era altresì favorito da altre condizioni quali le malattie cardiovascolari, le problematiche di udito o di vista, il diabete, i comportamenti nevrotici e depressivi.

Ad esempio la ricerca Biobanca del Regno Unito ha sottolineato come la possibilità di essere privi di una rete sociale era del 3,7% maggiore nei partecipanti con disturbi psicologici. Sono ora necessari ulteriori approfondimenti. Tuttavia, secondo gli scienziati, le politiche per la salute non devono sottovalutare gli effetti deleteri dell'isolamento sociale.

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