Benessere

Cristina Buonerba, l'influencer di viaggi affetta da fibromialgia

“Per lunghi anni mi sono sentita giudicata per il dolore che provavo. Oggi mi prendo cura di me stessa accettando il mio corpo e amandomi per quella che sono".

Cristina Buonerba, l'influencer di viaggi affetta da fibromialgia

Viene definita una malattia “fantasma”, perché il più delle volte sfugge agli esami di laboratorio e le origini sono ancora sconosciute. La fibromialgia è una sindrome cronica che solo in Italia colpisce quasi 2 milioni di persone: su 7 pazienti, 6 sono giovani donne. La difficoltà nel compiere anche le più piccole azioni quotidiane si somma spesso al non sentirsi presi in considerazione, anche dagli stessi specialisti. “Una volta un medico mi disse di prendermi un cane e trovarmi un fidanzato per far passare i dolori – racconta Cristina Buonerba (@thelazytrotter), travel blogger e imprenditrice 36enne, affetta da fibromialgia da quando ne aveva trentuno. "Mi sono sentita per lunghi anni incompresa e giudicata non appena manifestavo il mio disagio”.

Cristina è nata a Lecce, subito dopo la laurea ha iniziato a vivere in giro per il mondo, continuando anche dopo la diagnosi. Sebbene oggi ci sia maggiore attenzione, sono ancora tanti i medici che confondono i sintomi della fibromialgia con altri disturbi di natura psicologica. Possono trascorrere moltissimi anni prima di riuscire ad arrivare a una definizione. I classici farmaci spesso sono inefficaci sul dolore spingendo ancora di più verso la falsa convinzione che si tratti di una malattia immaginaria. Il dolore muscolare diffuso, la rigidità e la stanchezza, si associano alla difficoltà di concentrazione, deficit della memoria, disturbi del sonno e dell’intestino, emicranie o formicolii diffusi. Da qui l’esigenza di un approccio multidisciplinare.

Come hai scoperto di avere la fibromialgia?

“Mi trovavo in Thailandia, ma avvertivo i sintomi già da prima, quando ancora ero in Italia. Un fisioterapista italiano che viveva lì capì che i miei dolori potevano essere fibromialgia. Era la prima volta che sentivo questo nome. Ero stanca e mi faceva male tutto il corpo, ma non avevo qualcosa di ben definito, infatti molti medici mi rimandavano a casa. Una volta tornata in Italia prenotai una visita dal remautologo. Mi toccò in numerosi punti, in molti dei quali avvertivo dolore cronico e finalmente arrivò la diagnosi. Avevo anche altri disturbi che riguardavano l’umore e la digestione (il 40% dei pazienti affetti da fibromialgia soffre di problemi gastrointestinali ndr.), provavo stanchezza cronica. In generale la fibromialgia ha più di 100 sintomi, quindi ogni paziente la sviluppa in maniera diversa. Avevo 31 anni quando è arrivata la diagnosi, ma quei disturbi li provavo da molto più tempo e li ignoravo".

Come ti sei sentita in quel momento?

"All’inizio ho provato panico, essendo una condizione cronica sapevo che non sarei più potuta tornare indietro. Avevo paura ed ero molto depressa. Essendo ancora una condizione nuova, le terapie spesso non sono risolutive o lineari. Questo l’ho riscontrato in molte fibromialgiche con cui ho parlato. La mia esperienza infatti è stata disastrosa all’inizio. Assumevo farmaci molto forti, ma continuavo a stare male e peggiorare. La mattina al risveglio facevo una fatica enorme, mi sentivo come se mi avessero presa a pugni tutta la notte.

Poi ho interrotto le terapie che assumevo e ho iniziato a prendermi cura di me stessa, partendo proprio da ogni singola abitudine di vita. La mia condizione necessita di un approccio integrato e profondo che coinvolga anima e corpo, un aspetto che invece spesso viene trascurato, nella mia esperienza, soprattutto in Italia. La medicina integrata parla molto di fibromialgia. Nell’anno seguente alla diagnosi ero assistita costantemente da una psicologa a anche da mia madre, perché ero così depressa da aver paura di togliermi la vita. Quindi avevo allertato tutte le persone intorno a me, anche se la patologia mi aveva isolata. Mi è capitato di incontrare anche medici che non prendessero abbastanza in considerazione i miei sintomi. Uno una volta mi disse: “si prenda un cane, si trovi un fidanzato e basta, è passato” (Cristina sorride ndr). Mi vergognavo a dirlo anche ai miei amici stretti, perché spesso mi rispondevano che era una cosa psicosomatica e quasi mi sentivo considerata una pazza. All’inizio è stata dura, perché io amavo uscire e invece non riuscivo più a stare in piedi, camminare e anche solo portare le borsetta costava fatica. Quando mi pettinavo mi faceva male il cuoio capelluto. Molte cose non le potevo mangiare e non potevo bere. In più, spesso, è come se la donna in qualche modo debba soffrire di più”.

Quindi pensi che ci sia anche un retaggio culturale nei confronti del dolore delle donne, legato all’idea del parto e del ciclo mestruale?

“Questo è stato uno degli aspetti più duri da superare, anche le persone che mi volevano bene tendevano quasi a legittimare il mio dolore quando, ad esempio, aumentavano i dolori a ridosso delle mestruazioni. La fibromialgia per me è stata comunque un regalo. Nel bene e nel male mi ha obbligata a prendermi cura di me stessa, a dovermi fermare e rivedere tante cose. Ad esempio da quel momento ho chiuso molte amicizie e ne sono nate nuove. Oggi non bevo più, mi sono resa ancora di più conto che siamo tutto ciò che mangiamo e tutto ciò di cui ci circondiamo. All’inizio ero così tanto fissata con il voler ritornare a quella che ero prima, ma in realtà non stavo bene, altrimenti non mi sarei probabilmente neanche ammalata. Da quel momento ho iniziato una dieta disintossicante, togliendo tutti i cibi che potevano infiammare e con un’integrazione costante, mi segue anche una naturopata. Ogni tanto mi concedo qualcosa, ad esempio la pizza. So che il glutine mi infiamma ma so anche che la privazione eccessiva sarebbe un boomerang, quindi cerco di mediare. Ho intrapreso un costante percorso di psicoterapia che in generale è un regalo che ognuno di noi può fare a se stesso. Con la terapia ho imparato pian piano a comprendere le emozioni ed elaborarle, prima invece le sopprimevo.

Negli ultimi anni ho trovato il modo per convivere con questa condizione. Ciò non significa che io stia bene, ma neanche male come stavo prima. Nei momenti in cui si intensifica di più è in genere a ridosso delle mestruazione oppure se per esempio viaggio tanto. Sicuramente la relazione corpo - emozioni è sempre molto forte. La fibromialgia mi ha dato la possibilità di ritornare come ero prima ma con molti più strumenti e in una versione migliore. Oggi per me è fondamentale il movimento fisico e l’ascolto del corpo. Pratico yoga e sto iniziando finalmente a lavorare anche sulla crescita muscolare, infatti ho bisogno di un corpo forte e muscoloso che mi sorregga. Si tratta di una conquista, visto che la fibromialgia ti rende impossibile anche fare uno squat. Oggi mi prendo cura di me stessa accettando il mio corpo, anche quando mi guardo allo specchio cerco di dirmi parole gentili, amandomi per quella che sono”.

Ti eri già scontrata con i pregiudizi quando hai iniziato il tuo lavoro di travel blogger mentre eri in giro per il mondo. C’è stato un attimo in cui hai pensato che la fibromialgia avrebbe potuto rimettere in discussione tutto?

“Dopo la diagnosi tutti mi dicevano che non potevo più viaggiare, che non avrei potuto fare più molte cose e che era una condizione cronica che dovevo accettare. Invece io ho semplicemente iniziato a viaggiare in maniera diversa. Mi sono laureata come traduttrice e ho ho sempre creduto nel nomadismo digitale. Quando ho aperto il mio blog mi trovavo in Guatemala da diverso tempo, all’inizio la mia stessa famiglia non mi prendeva sul serio. Non lo considerava un lavoro vero, perché in effetti non lo era in quel momento. Un passo alla volta sono andata avanti senza mai fermarmi. Quando è arrivata la diagnosi della fibromialgia io avevo già un buon seguito e quella community che io avevo creato sola si è rivelata un prezioso sostegno. Inoltre, con la condivisione online ho potuto conoscere altre persone che vivono nella mia stessa condizione.

Condividere tanto delle mie giornate da fibromialgica mi ha dato molta visibilità. Ho iniziato a parlare di più di benessere, a condividere le mie sedute di terapia, le scelte alimentari che facevo, i trattamenti, le flebo e ogni cosa nuova che sperimentavo. Non solo ho trovato persone che mi davano forza, ma io la davo a loro. Ancora oggi è un sostegno quotidiano reciproco. Ci sono anche figlie di donne affette da fibromialgia con cui sono costantemente in contatto. In questo la forza della condivisione dei social media è potentissima. Da quel momento poi ho iniziato a lavorare con molti brand che erano in linea con i miei valori”.

La fibromialgia richiede un impegno costante. A un anno dalla diagnosi hai ripreso a viaggiare da sola per lunghi mesi, sei ripartita dal Guatemala, poi Giappone, Taiwan e tantissimi altri. Quando hai capito che potevi farcela?

“È un lavoro su me stessa che faccio quotidianamente. Ho iniziato a raccogliere i primi frutti circa due anni fa, a tre anni dalla diagnosi. Mi ritengo fortunata, perché ho avuto l’appoggio economico dei miei che mi hanno permesso di prendermi cura e provare tante terapie diverse, spesso costose, in quanto non terapie tradizionali.

La dinamica psicologica è molto sottile, perché nel momento in cui entri nel ruolo della vittima, diventa difficile uscirne. È un meccanismo insidioso, perché poi tendi a trovare come alibi la malattia per non fare molte cose che invece vorresti fare. In quei casi entra di nuovo in gioco la psicoterapia. Insomma ci è voluto tanto lavoro per scardinare i meccanismi della mente e non buttare all’aria tutto quello che avevo costruito.

Due anni fa, quando ho iniziato a raccogliere i primi frutti del mio percorso, ho deciso di realizzare il sogno di aprire il mio shop, nel frattempo ho incontrato una persona con cui ho intrapreso una relazione a distanza. Anche lui viaggia molto perché è un musicista. Insomma mi sono assunta delle responsabilità e per me sono state molto significative. Ero pronta a darmi il permesso di essere quella che volevo essere. Fino a quel momento non avevo mai avuto il coraggio. Questo è un lavoro costante però che fai in corsa. Nel momento in cui cambi la chimica dei tuoi pensieri, cambia anche la chimica del tuo corpo. Capire questo ha fatto la grande differenza.

Infatti a un certo punto mi sono detta che potevo farcela ad affrontare l’amore, ad affrontare le mestruazioni tutti i mesi, a portare avanti i miei progetti. Mi ricordo le parole di un medico quando mi trovavo in Australia, mi disse: “smettila di dire che sei debole, non sei debole, sei delicata”. Se avessi continuato a definirmi debole e malata mi sarei identificata solo con quello. Ho smesso di fare viaggi troppo corti, ho iniziato ad andare nei luoghi e a stare molto più a lungo, in media tre mesi, per dare il tempo al corpo di adattarsi. Amo il Guatemala ed è lì che sono ritornata subito dopo la diagnosi, per me era come essere di nuovo a casa.

Oggi seguo regole ben precise, la mia alimentazione prima e dopo il volo è fondamentale, faccio lunghi bagni caldi prima di partire, tanto yoga e tanto stretching fino a due minuti prima di salire sull’aereo. Mi massaggio tantissimo, preparo il corpo alle ore in aereo e, quando posso, scelgo dei voli con uno scalo più lungo. Oggi il mio corpo riesce ad affrontare sfide sempre nuove.

Insomma non sono di cristallo come pensavo di essere, sono delicata, ipersensibile, ma non mi rompo".

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