Borsa e mercati

Borsa, ecco la ricetta per sostenere le IPO delle PMI

Lo Stato attraverso il PNRR non può risolvere i problemi storici della nostra economia, gravata da un debito pubblico elevato. Occorre la partecipazione attiva degli investimenti privati che devono avere il corretto ritorno reddituale

Borsa, ecco la ricetta per sostenere le IPO delle PMI

Settimana molto positiva quella appena chiusa che fa registrare una crescita del FTSE MIB del 2,7%. Addirittura migliore settimana dal marzo scorso, nonostante i meeting della FED e della BCE e la contemporanea scadenza, l’ultimo giorno, dei futures e delle opzioni sugli indici e delle opzioni sulle azioni. In altre parole, è stata la giornata che viene definita delle “tre streghe”, particolarmente temuta dagli investitori. Meglio del FTSE MIB è stata la performance del FTSE ITALIA STAR con il 4,1% di crescita. Sempre al palo invece i titoli della FTSE ITALIA GROWTH, sceso dello 0,6% a conferma della disaffezione degli investitori per le PMI.

I migliori titoli della settimana

Miglior titolo della settimana, IVECO con una crescita del 6,6%, seguito da Moncler con il 6,4% e Bper Banca con il 6,1%. Se tra i titoli migliori non è possibile individuare un settore particolare, tra quelli peggiori invece è facile intuire che si tratta di titoli tutti legati all’energia, risultati volatili nel corso di tutta la settimana quale specchio della volatilità registrata dal prezzo del petrolio e del gas. Nel corso della prossima settimana non ci sono dati sensibili in uscita in grado di condizionare i mercati. La crescita degli indici delle ultime settimane ha portato una buona parte degli indicatori tecnici in ipercomprato. Segnale questo che farebbe propendere quantomeno per una riflessione del mercato.

Le PMI italiane hanno un potenziale inespresso

L’indice delle piccole e medie imprese statunitensi, il Russel 2000, ha fatto registrare dall’inizio dell’anno una performance del 7,1% mentre quello delle PMI Italiane, il FTSE Italia Growth è sceso del 3,2%. Ma quello che, se vogliamo, è più grave è che il controvalore degli scambi dall’inizio dell’anno è sceso di oltre il 30%, rendendo meno liquido il mercato (Russel nello stesso periodo +20%). Chiaro che occorre distinguere in termini dimensionali tra le PMI statunitensi e quelle Italiane, considerate spesso micro imprese. In altre parole, c’è da considerare l’aspetto liquidità dei rispettivi mercati: per il mercato USA le PMI sono quelle che capitalizzano tra 300 milioni e 1 miliardo di dollari.

In Italia ci sono PMI la cui capitalizzazione non è superiore a 10 milioni di euro. Ma fatte le debite proporzioni tra i mercati finanziari, ci chiediamo perché gli investitori nazionali e internazionali non sono interessati ad investire nelle PMI dell’Italia che, come sappiamo, costituiscono l’ossatura dell’economia del Paese. Salvo evidentemente riconoscerne il valore nel momento in cui decidono di delistare il titolo lanciando un’Offerta Pubblica di Acquisto – OPA: le ultime operazioni sono state fatte a un prezzo mediamente superiore del 40-50% circa rispetto a prezzo medio degli ultimi 6 mesi. C’è quindi del valore inespresso nelle PMI Italiane.

Le imprese familiari quotabili sono circa 65.000

Come noto la struttura produttiva Italiana è costituita per la grande maggioranza da PMI. Secondo la definizione UE 2003/361/CE, le PMI dell’Italia sono circa 160.000. Il valore aggiunto complessivo generato dalle PMI così definite ammontava a fine 2022 a circa 220 miliardi di euro, vale a dire il 10% mal contato del PIL del Paese. Eppure in Borsa le PMI sono scarsamente rappresentate. Esiste da oltre 10 anni un mercato dedicato a loro (Euronext Growth Milano, ex AIM), dove ad oggi sono quotate circa 196 società, ma oltre 220 si sono quotate in oltre 10 anni di attività. Chiaro che non tutte le 160.000 imprese sono quotabili. Da una nostra elaborazione risulta tuttavia che in Italia le imprese familiari quotabili con un fatturato superiore a 20 milioni sono circa 65.000. Se solo il 10% di queste si quotasse, ne risulterebbero circa 6.500 imprese (ricordiamo che ce ne sono 196 quotate).

Tra gli ostacoli alle IPO c'è la concorrenza dei BTP

Ma perché le PMI Italiane non si quotano? Le ragioni sono varie e al proposito Consob ha scritto nel 2017 un ottimo paper dal titolo “Implicazione e possibili motivazioni della scelta di non quotarsi da parte delle medie imprese Italiane” che consigliamo di leggere. Tra le ragioni storiche, tutte Italiane, vale la pensa di ricordare la concorrenza subìta dalle azioni da parte delle obbligazioni (i meno giovani si ricorderanno negli anni ’70 che i BOT avevano un rendimento di oltre il 20% l’anno) che ha creato quella che viene definita illusione monetaria.

Dura però da scalfire. Con rendimenti minori rispetto ad allora, il discorso si ripropone oggi con il BTP Valore. Titolo che di fatto funge da stimolo per gli investitori Italiani, che offre un rendimento equo correlato alla liquidità dell’investimento e che consente di sottoscrivere il debito del proprio Paese. Prova ne sia il grande successo della recente emissione. Intendiamoci, non che questo sia sbagliato. Chiaro però che mal si concilia con gli stimoli che occorrerebbe imprimere per traghettare il risparmio provate verso l’economia reale.

Nei conti correnti italiani un tesoro bloccato da 1.400 miliardi

Oggi la situazione è completamente diversa rispetto agli anni ’70 e vede per esempio fermi sui conti correnti delle banche circa 1.400 miliardi (dato Bankitalia a fine aprile) di risparmi degli Italiani. Per dare un ordine di confronto, stiamo parlando del 65% circa del PIL. Risparmi che ovviamente finanziano solo in via indiretta (tramite appunto le banche) l’economia reale del nostro Paese. Ma esiste anche una via diretta che consentirebbe agli investitori di avere un rendimento maggiore rispetto a quello offerto dalla remunerazione del conto corrente: l’investimento in Borsa. E magari proprio finanziando la parte produttiva e sana del Paese e in grado di far crescere l’economia: le PMI.

I diversi Governi sono intervenuti sia agevolando le imprese che si quotano, che tra le altre cose godono di una detrazione fiscale fino a 500.000 euro, sia gli investitori che per esempio non pagano le imposte sulle plusvalenze pari al 26%, a patto che detengano le azioni per almeno 5 anni (stiamo parlando dei fondi PIR). E’ sufficiente questo per far confluire il risparmio privato verso l’economia reale? Probabilmente no, visto che il risparmio continua ad essere elevato e negli ultimi 20 anni la Borsa Italiana ha visto 448 quotazioni ma 336 delisting.

Per sostenere le PMI occorre lavorare sulla creazione di fondi ad hoc

Al di la delle regole burocratiche che sono state recentemente snellite, occorre lavorare sulla creazione di fondi destinati esclusivamente alle PMI - magari fondi chiusi a medio e lungo periodo - che consenta loro di poter esprimere appieno la redditività contenuta nel piano economico e finanziario presentato agli investitori nel momento della quotazione. Piuttosto che alla creazione di un fondo nazionale gestito da CDP che investa nelle PMI, a patto però che queste entro un periodo stabilito si quotino in Borsa e raccolgano in seguito anche capitale privato (da evitare carrozzoni stile IRI per intenderci).

Le iniziative in cantiere sono tante e l’Europa sta facendo la sua parte: il PNRR è un esempio di questo. Ma non possiamo pensare che lo Stato attraverso il PNRR da solo risolva i problemi storici della nostra economia, gravata da un debito pubblico elevato che drena preziose risorse agli investimenti. Occorre la partecipazione attiva degli investimenti privati che, ovviamente, devono avere il corretto ritorno reddituale. Non ci stiamo inventando nulla.

Stiamo semplicemente copiando quello che avviene nel resto delle economie mondiali e che facciamo ancora fatica a capire perché in Italia non accade.

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