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"Cambiamo le Mini con le 500": la mossa Fiat per "Un colpo all'italiana"

Nel film del 1969, girato a Torino, la banda di ladri capitanata da Michael Caine deve fuggire a bordo di tre Mini Cooper prodotte dalla British Motor Corporation. Il colosso italiano prova a mettersi in mezzo, senza successo

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"Cambiamo le Mini con le 500": la mossa Fiat per "Un colpo all'italiana"

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La questione è che il fim nasce proprio con quelle premesse lì: gli inglesi sono tizi intelligenti che si fanno beffe dei meno scaltri italiani. Ovvio, allora, che debbano viaggiare a bordo di un contesto che strilla UK da ogni poro. Comprese le macchine dei protagonisti, che poi sarebbero fondamentali per la trama. Quando la produzione di Un colpo all'italiana (1969, The Italian Job nella versione originale) riceve l'offerta dalla Fiat, la rispedisce quindi senza indugio al mittente. Nella lettera inviata direttamente per volontà di Agnelli la proposta suona più o meno così: "Sappiamo che dovreste portare qui a Torino tre Mini Cooper per le scene del film. Noi vi possiamo dare tre Cinquecento gratis, così come ogni altra macchina che possa servire durante le riprese".

Il quadro è evidente: gli italiani hanno fiutato un torrenziale ritorno in termini pubblicitari. Gli inglesi balbettano in fatto di marketing. La storia su cui si cercano di allungare i polpastrelli è quella di una banda di delinquenti capitanata da Charlie Crocker (Michael Caine), che viene a sapere di un accordo siglato tra la Fiat e la Cina per aprire un nuovo stabilimento. Sul piatto basculano 4 milioni di dollari in oro, che il gruppo è intenzionato ad arraffare.

E pensare che, inizialmente, doveva trattarsi di un semplice sceneggiato da mandare in onda sulla BBC, da girare interamente in Inghilterra. La decisione di spostarsi in Italia fu un'idea dello sceneggiatore Troy Kennedy-Martin, la cui sorella viveva a Milano e l'aveva convinto che potesse essere il posto giusto. Quando però la produzione si rende conto del groviglio burocratico che sarebbe stato sollevato per i permessi, si spostò nella vicina Torino. A complicare tutto, infatti, c'è una scena fondamentale: i ladri fuggono sfruttando un colossale ingorgo in centro.

Quando il regista Peter Collins e il resto della troupe vengono a sapere che nella città della Mole esiste un centro computerizzato per la gestione del traffico, lo spostamento viene naturale. Qui inizia a muoversi, per nulla sotto traccia, la famiglia Agnelli, avanzando una proposta ritenuta indecente. La banda deve fuggire a bordo di tre guizzanti Austin Mini Cooper S. Niente natiche appoggiate su vetture italiane, perché l'idea si fonda proprio su questa contrapposizione. Smacco incassato, anche se poi la pellicola sarà comunque intrisa di vetture Fiat che fanno da corredo.

Quanto alle Mini, si trattava della versione più potente prodotta, quella che vinse il rally di Montecarlo nel '64, nel '65 e nel '67. Montavano un motore 1275 da 80 CV che toccava la velocità massima di 170 Km/h e svicolavano dalle più potenti Alfa Romeo della polizia grazie alla loro aerodinamica leggerezza. Restano scolpite nella memoria le scene sul tetto del Lingotto e la fuga tra i portici di Via Roma e Corso Vittorio Emanuele, così come molte altre sgasate per sottrarsi a chi tenta di acciuffarle. Il film, diventato iconico, venne in seguito inserito al 36esimo posto nella speciale Top 100 del British Film Institute.

Un successo in differita per il brand Mini, ancora impigliato nella momoria di cinefili e dilettanti dei pop corn.

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