Calcio

Nel calcio social e urlato il silenzio controcorrente del Rombo di Tuono è una lezione da ricordare

Le origini difficili e mai sbandierate, i consigli sussurrati, persona integra e di valori. Non solo campione, ma uomo vero. Gigi c’è e ci sarà perché il suo esempio è prezioso in questa epoca piena di finti eroi. Sia sportivi che non Il figlio del vicepresidente che portò Riva in Sardegna: «Avevo 10 anni, per me era come un fratello maggiore»

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Il Rombo può essere silenzioso? E il tuono? Oggi che l’Italia piange Gigi Riva e lo ricorda purtroppo solo al passato, bevendo un frullato di ricordi personali che ad ogni riga sottolineano però che Riva non c’è più, oggi è il momento di parlarne solo al presente e al futuro. Abbiamo il dovere di far sì che i suoi insegnamenti, eleganti e silenziosi, si tatuino sulla nostra pelle e su quella dei nostri figli. È la meravigliosa e pacata lezione portata da un rombo, da un tuono e da un uomo che a neppure trentadue anni smise di emozionare e far urlare le folle sui campi e per altri cinquanta si è fatto rimpiangere dal grande pubblico.

Non dalla propria gente però, perché i calciatori non l’hanno mai perso, lui non li ha mai abbandonati, lavorando accanto a loro in silenzio, consigliandoli in silenzio, insegnandogli in silenzio, proteggendoli in silenzio. La sua lezione nel calcio è esattamente ciò di cui tutti noi avremo bisogno in questa vita messa quotidianamente in pubblico in modo sguaiato e urlato con troppi predicatori camuffati da influencer o eroi dello sport.

Gigi c’è per chi ha avuto la fortuna di viverlo nelle sue due vite sportive, c’è per chi l’ha vissuto solo nei racconti in bianconero, e c’è e dovrà esserci sempre più d’ora in poi per attutire il chiasso del vivere moderno. La saggezza elegante di un uomo che ha avuto per onori e fama il mondo ai propri piedi e ha saputo non calpestarlo deve e dovrà indicarci la via. Lui che avrebbe potuto maledire rabbiosamente la vita per i troppi falli da espulsione subiti dal destino quando era un bambino, la perdita dei genitori, le difficoltà economiche, le fughe dall’orfanatrofio, lui c’è e deve restarci addosso.

E noi abbiamo il dovere di dire ai più giovani, forse anche a noi stessi, guardate che i campioni possono essere così, guardate che la gente famosa può essere così, che non siamo tutti influencer, che si può influenzare elargendo consigli sottovoce, e non è scritto che si debba rispondere a una brutta dichiarazione come Osimhen all’indirizzo del manager di Kvaratskhelia «sei un pezzo di sporcizia e una vergogna...». Ma perché dai? O per andare oltre lo sport, ma sempre restando dentro la quotidianità di esistenze che riguardano ogni famiglia, l’ansia e la voglia di rivalsa, talvolta esagerata e violenta, veicolata dai nuovi fenomeni musicali. Prendiamo uno dei più amati trapper del momento, prendiamolo perché Massimo Pericolo è un professionista e non una meteora, prendiamolo perché è cresciuto a Brebbia, a due passi dalla Leggiuno di Gigi Riva. Per cui, seppur a 50 anni di distanza, stessi colori, stesse nebbie, stessi soli, stesso lato del Lago Maggiore, stessi inizi complicati. In uno dei testi più rappresentativi, Pericolo scrive: «Coi giudici non parlo e ho preso più di un anno...». Altra epoca, certo, ma era tale l’esposizione del Riva giovane e campione che avrebbe potuto ostentare anche lui, certamente non cantando, ma in tv, nelle interviste, la propria rabbia adolescenziale, la vita da operaio, le difficoltà, altri campioni l’hanno fatto, lui no, «ho sempre avuto la privacy come motto».

Ecco perché non dobbiamo parlare di Riva al passato. Ogni volta che sentiremo una parola fuori posto o una nota stonata avremo il dovere di ricordare quel campione, quell’uomo che un giorno del 2006 con la coppa del mondo a un metro da sè, si guardò attorno, vide troppi politici e potenti saliti sul carro dei vincitori e uscì da Palazzo Chigi nel pieno dei festeggiamenti. Prese il trolley e arrivederci e grazie.

Il rombo, il tuono ma soprattutto il silenzio.

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