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Alla ricerca del Milan perduto: il day after ha bisogno di fatti, non di buoni propositi

Bisognerà ricostruire spirito e squadra: fondamentale la scelta del nuovo tecnico

Alla ricerca del Milan perduto: il day after ha bisogno di fatti, non di buoni propositi

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Alla ricerca del Milan perduto: il day after ha bisogno di fatti, non di buoni propositi

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Il racconto della Caporetto milanista deve cominciare dalla notte di lunedì 22 aprile. Concluso il derby nel modo peggiore per il risultato (subiti nelle ultime sei sfide 14 gol e fatti solo 2), rovinata anche la prossima con la Juve (Calabria 2 turni di squalifica, Tomori e Theo Hernandez 1 ciascuno), c’è stato anche il contorno audio capace di alimentare altre polemiche (a fine partita musica ad altissimo volume per «silenziare» eventuali cori interisti con spiegazione finale «misura di prevenzione», ndr) e l’assenza di Pioli - nella foto - dalla sala-stampa dopo le due interviste rese alle televisioni, scelta condivisa dall’ad Furlani. È questa la contabilità di un finale di stagione da incubo in particolare per il numero dei big match persi (più della metà) a testimonianza di una fragilità emotiva e di personalità del gruppo, estesa in questo caso anche al tecnico che si è presentato con un inedito schieramento per rispondere alle critiche precedenti («non sa come affrontare l’Inter di Inzaghi»). L’unica versione accettabile di Milan si è vista negli ultimi 18 minuti con il ritorno al sistema di gioco più noto, con Chukwueze dentro, tra l’altro colpevolmente ignorato in precedenza. Una sola mossa del club è stata da applaudire: e cioè la ricerca dell’identità di quel bambino tifoso, inquadrato dalle telecamere, in lacrime dopo il 2 gol di Thuram. Il Milan lo vuole consolare con una visita guidata a Milanello! In mancanza di Pioli, si è presentato al plotone d’esecuzione l’ad Furlani che ha provato a indorare la pillola amara con una promessa vaga («questa squadra era costruita per vincere, ora proveremo a renderla ancora più forte») e che ora ha bisogno di fatti concreti più che di propositi dopo il ritorno di Cardinale negli Usa. Madre di tutte le scelte sarà quella del tecnico sul quale si sono esercitati in tanti. Per esempio Ariedo Braida, storico ds, teorizza: «Pioli mi sembra un capro espiatorio».

Mentre Walter De Vecchi lancia nel dibattito una intrigante candidatura («il mio sogno è Roberto De Zerbi»). A chi soffre di nostalgia canaglia del vecchio Milan berlusconiano va ricordato che quella felice esperienza nacque intorno a un gruppo italiano molto forte, leader degli acquisti successivi e che la costola italiana interista è una parziale spiegazione del successo di Simone Inzaghi. E invece dal mercato passato, l’unico italiano arrivato fu Sportiello, il secondo portiere oltre poi a Terracciano a gennaio.

Stonata invece la chiosa di Adli, il francese uscito con i nervi a pezzi e capace di ripetere in tv la seguente tesi: «Se il Milan vuole vincere, ha bisogno di giocatori forti». Che sia una feroce auto-critica? Può essere.

Nell’attesa delle mosse, c’è da rammendare quel che resta di questo team per i prossimi 5 impegni perché oltre la Juve il rischio di disperdere anche il secondo posto non è così lontano.

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