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Spie, pedinamenti e telefonate notturne: l'altro Boskov

Dietro ai risultati conseguiti da Vujadin c'era una gestione peculiare del rapporto con i giocatori: per eludere i suoi controlli serviva un'impresa

Spie, pedinamenti e telefonate notturne: l'altro Boskov

Fasciato in un impermeabile cerato, gli occhiali scuri calati sopra al naso vermiglio, un foglio di giornale a coprire il volto a comando. E poi, comunque, dietro quella gigantesca palma mica lo vedono. Passano i primi due e lui annota tutto sul suo taccuino. Farebbe pure le foto, avesse dietro l'attrezzatura adatta. Eccone altri tre. Interroga l'orologio che gli stringe il polso, traccia una riga e segna. Sì, li ha colti tutti nel sacco. Parrebbe l'incipit di un effervescente poliziesco, non fosse che il protagonista - penna sguainata per infilzare chi langue di professionalità - è Vujadin Boskov da Begec, Serbia. Di mestiere fa l'allenatore, ma nulla di serio. Lo impegna molto di più l'attività investigativa che inizia quando il sole srotola i titoli di coda.

Boskov Real
Boskov ai tempi del Real Madrid

Vujadin sergente intransigente al Real Madrid

Scruta le pareti monumentali del Bernabeu e si compiace del suo approdo, ma soltanto per una manciata di istanti. Il Real è uno squadrone per attitudine genetica. Pensare che però basti allenarli e mandarli in campo, riflette svelto Boskov, sarebbe roba da polli. I giocatori, del resto, sono arnesi strani: nel fiore degli anni, aitanti, desiderosi di immergersi nelle tentazioni sordide della vita notturna per appagare appetiti primitivi. Per arginare il sicuro deragliamento di chi tira tardi - e di conseguenza il suo - serve stare in trincea. Così tra il '79 e l'82, quando siede sulla panchina delle Merengues, Vujadin conduce sostanzialmente un'esistenza sdoppiata. Allenatore di giorno, agente speciale quando cala la sera. "Al Real - confesserà solo in seguito - controllavo Juanito più di tutti. Conosceva bene ambiente di Madrid e aveva amica oltre moglie. Amante, si chiama? E io controllare sempre. Una volta dopo partita in notturna Mallorca-Real Madrid ci fermiamo a dormire. Lascio tutti liberi fino ventitrè ore e trenta minuti poi mi nascondo dietro palma in hall di albergo. Chiudono porta principale e giocatori non tornano. Poi, di notte, rientrano da porta secondaria e io, nascosto, spio e faccio lista nera. Mattina dopo presento allenamento e dico: tu rientrato ore due e trenta minuti, pagare 20 mila pesetas di multa; tu rientrato ore tre paga quello".

Un segugio infallibile alla Samp

Nastro che scorre più avanti, per verificare se è cambiato qualcosa. Risposta: no, anzi. Tra il 1986 e il 1992 Boskov soggiorna alla Samp, tappa aurea del suo grand tour italico. E anche qui i metodi, gli atteggiamenti, restano identici. Vujadin cicatrizza questa mania del controllo disvelando il suo asso nella manica: "Mio segreto? Mio segreto disciplina, spie e telefonate notturne. Segreto per giocare bene è vita privata. Miei giocatori liberi fino ventitrè ore e trenta minuti. Poi telefonavo casa tutti per scoprire chi in giro".

Al Doria ne fanno le spese, più di altri Attilio Lombardo, Gianluca Vialli e Roberto Mancini. Scandaglia la città imperterrito, risoluto a scovare ogni avanzo di giovanile cialtronaggine. Si salva solo Cerezo, che dice di non poter essere chiamato a casa la sera perché la moglie sennò si arrabbia. La sua articolata rete di uccellini gli sussurra orari e spostamenti di tutti quegli altri. E lui, il giorno seguente, grandina multe salatissime. Bar, ristoranti e discoteche diventano il suo terreno di caccia. Bonificare ogni afflato di fancazzismo è cruciale. Con stentorea risolutezza contrasta il simpatico dileggio di chi vorrebbe farlo fesso. Probabilmente è un tantino estremo. Certamente i risultati pendono dalla sua.

Mancio e Boskov
Il segugio serbo col Mancio alla Samp

La fregatura rifilata da Caniggia

Anche i più acuminati detective possono inciampare, sissignore. La fallibilità del parossismo boskoviano l'ha raccontata bene Sinisa Mihajlovic, quando era mister del Bologna. Succulenta cena fuori con Claudio Caniggia, ai tempi della Roma, 1992. Iniziano a spuntare i primissimi telefoni mobili, ma sono una rarità. Occhio sempre buttato all'orologio, perché il coprifuoco è alle undici e mezza. Roba cristallina per entrambi. Vogliono evitare seccature. Quando Sinisa rincasa, la governante che lo attende sulla porta lo avverte: "Ha chiamato Boskov". Lui scruta l'orario. Vabbè, undici e mezza, piena regola. Va a letto tranquillo. La mattina dopo Vujadin è furente e non solo con lui. "Voi non siete professionisti, fate tutti come vi pare". Mihajlovic prova a difendersi, spiega che era a casa entro l'orario richiesto, ma non basta per disarmare l'intemerata del mister. Che ne salva solo uno: Caniggia. "Soltanto da Claudio dovete prendere esempio! Lui sta sempre a casa". Risate generali. Allenamento che riprende. Sinisa è frastornato. Ma se erano a cena insieme. Strattona Caniggia per la maglia, per chiedere spiegazioni: "Si amico, è che io gli ho dato il numero di cellulare".

Il talento è nulla senza controllo

Chissà se quella vecchia pubblicità ha preso ispirazione proprio da lui. Il talento mica basta: devi allenarlo, proteggerlo, incanalarlo. "Controllavo e davo disciplina", confesserà Boskov. "Senza non si vince. Ecco segreto nostre vittorie". Metodi rudimentali? Forse.

Una dilagante fetta dei suoi trionfi, però, è passata proprio di qui.

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