Cronaca locale

«Canzoni e note per raccontare l’esilio»

Sergio Rame

Buona parte degli uomini aspira ad avere una propria casa. Un’aspirazione che spesso si sposa con i concetti di nazione e patria, due sentimenti naturali che sembrano essere iscritti nel codice genetico dell’uomo come categorie a priori. Probabilmente, non è vero in automatico. Ma si avvicina al sentimento di appartenenza come cultura che trova una prepotente spinta istintuale ed emotiva nella fragilità e nell’inadeguatezza dell’uomo di fronte a se stesso e al proprio anomalo destino. Questo viaggio infinito, che trasforma ciascuno nello straniero di se stesso per potersi conoscere, sarà ripercorso, questa sera (ore 21.45) presso l’ex Pini (ingresso 12 euro), nello spettacolo di Moni Ovadia Goles.
Il popolo ebraico crede che Mosè trascorra la sua vita ultraterrena in una palude nel continuo studio della Torah. E il Paradiso? Vi si avvicinerà solo nel momento in cui inizierà a capire quello che sta studiando. Così sia anche la vita: un lungo cammino. Tuttavia, la perdita di quello che si ritiene un irrinunciabile diventa, sempre, motivo di acute sofferenze. Pochi hanno saputo cogliere in quella perdita una condizione di privilegio, pochissimi hanno saputo celebrarla ed esprimerne l’estremo valore così come lo ha radicalmente affermato il filosofo Emil Cioran in uno dei suoi più felici aforismi: «Un uomo che si rispetti non ha una patria. Una patria è una colla». Tra questi gli ebrei della yiddishkeit. «Hanno saputo costruire una patria dell’esilio - spiega Ovadia - in piccoli villaggi sparsi nelle terre dell’Europa orientale, sotto cieli bassi e gonfi di neve nelle case dai tetti di legno e fango. Lì hanno sognato una patria lontana e impossibile illuminata da un sole spirituale: per duemila anni lontani dal loro sogno hanno saputo essere popolo senza confini». Così i loro maestri cantavano l’esilio: il maggid di Mezeritch, per esempio, metteva in versi la presenza divina che, quando il popolo era esiliato, scendeva più facilmente che nel tempo in cui era in piedi il Grande Santuario di Gerusalemme.
Un recital di canzoni e musiche, uno spettacolo che si muove soprattutto attraverso la sua dimensione musicale al fine di riflettere e glorificare la condizione dell'esilio. Una condizione che diventa vera e proprio problema cruciale nell’assetto geopolitica attuale in cui i confini esplodono e si sciolgono. Una condizione di smarrimento e perdita di sé fino ad acquisire una particolare sensibilità nei confronti di tutto ciò che ci circonda.

«Nel mondo globalizzato fatto di finte patrie omologate, coltivare la spiritualità dell'esilio è un’arte difficile e preziosa», conclude l'autore che, insieme alla Moni Ovadia Stage Orchestra, intraprenderà un viaggio nelle musiche, nella musicalità e nei racconti dell’esilio come condizione interiore della libertà e della centralità dell’uomo.

Moni Ovadia Goles, Ex Pini, ore 21,45, ingresso 12 euro

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